Si è riaperto il dibattito, nato a metà gennaio, sull’ampliamento di Palazzo Diamanti di Ferrara. Lo scorso 22 marzo se n’è parlato in un convegno intitolato “L’architettura rinnova le città nel tempo. Il concorso di Palazzo dei Diamanti: un’occasione perduta?” organizzato dall’Ordine Architetti di Firenze. La diatriba si è accesa in merito ai concorsi di architettura e le gare che determinano l’affidamento dei progetti.
La via è tortuosa e complessa, si va dai concorsi internazionali aperti a coloro che ne abbiano i requisiti, a quelli “ad inviti” (di solito riservato alle cosiddette archistar, che magari nello specifico non risultano dotati di esperienze analoghe), ai bandi di gara di svariata natura sotto soglia, sopra soglia, manifestazioni d’interesse, appalti integrati, ecc.
Non basta vincere una gara: non solo un altro concorrente può fare ricorso, ma può succedere che cambi il responsabile dell’Ente o l’appartenenza politica di un sindaco; poi c’è il Tar, la Corte dei Conti ed altro ancora. Il caso della nuova Sede Istat di Roma è un esempio: l’idea nacque nel 2008 con una serie di progettisti, poi altri nell’epopea Balducci; infine, pochi giorni fa, l’aggiudicazione è andata al glorioso Studio Valle di Roma, dieci anni dopo.
Ci sono poi le circostanze politiche, gli odi e le rivalità professionali sempre in agguato. A Ferrara si sono consumati falsi miti ed accenti sbagliati, considerando cosa rappresenti il Palazzo dei Diamanti nella Storia dell’architettura.
L’edificio, datato 1492, è stato unanimemente attribuito dagli studiosi più accreditati, sulla base di prove documentarie e verifiche stilistiche, a Biagio Rossetti, urbanista architetto di Ercole d’Este che aveva appreso la lezione di Leon Battista Alberti: “Si studi che gli isolati e il piano della città non paia delle vie sommerso”. Rossetti fu autore anche dei Palazzi Prosperi-Sacrati, Turchi-Trotti-Di Bagno, Strozzi-Bevilacqua, Mosti, Giulio d’Este. Il più iconico, il Palazzo Diamanti nel quadrivio degli Angeli, era inserito a sua volta nel contesto dell’Addizione Erculea di cui Biagio fu il soprintendente assoluto, decidendo la collocazione e la conformazione stereometrica degli edifici. L’opera di Rossetti fu talmente autorevole che impose elementi stilistici suoi e li sovrappose su edifici di altri architetti, una finestra, un cornicione, un particolare decorativo…
Per questo avvicinarsi al manufatto (tanto più se si pensa di modificarlo) comporta un rispetto quasi religioso, non solo per l’edificio ma per tutta la città. Un buon architetto deve soprattutto conoscere la storia per inserire al meglio il nuovo nel contesto. Il tema è delicato e complesso: non è sufficiente essere un grande progettista, magari conosciuto a livello internazionale, per individuare il giusto rapporto tra esigenze di funzionalità, adeguamento tecnologico impiantistico e conservazione del bene. Il critico John Ruskin, nella celebre Sesta Lampada dell’Architettura (1849), invitava gli architetti del tempo a progettare edifici meritevoli di essere trasmessi al futuro e raccomandava vivamente di non sconvolgere quelli ereditati dal passato i quali, anche se segnati dagli effetti del tempo, si erano guadagnati un ruolo indiscusso tra gli uomini.
La scelta dei materiali, delle cromie e delle tecniche da adottare nel nuovo, cambia a seconda dell’epoca d’impianto, dell’edificio storico e delle sue stratificazioni storiche. Occorre perciò distinguere se vadano accettate oppure siano aggiunte superflue e vadano eliminate. Ci sono centinaia di esempi in questo senso: io stessa mi sono trovata professionalmente a dover decidere in questo campo.
Il Comune di Ferrara pertanto aveva indetto, a metà marzo 2017, un concorso in due gradi per “L’ampliamento della Galleria d’Arte Moderna di Palazzo dei Diamanti” aventi come oggetto la rifunzionalizzazione degli spazi occupati dal Museo del Risorgimento per ricollocarli in altra sede e la costruzione di una nuova passerella multifunzionale nel giardino interno, anch’esso da sistemare. Nella fattispecie c’era da riprogettare un nuovo collegamento e una nuova passerella in sostituzione di quella attuale.
Al momento l’edificio si presenta al suo interno abbastanza compromesso da interventi lesivi per la sua dignità e storia, sia negli gli spazi destinati al Museo del Risorgimento che nell’altra ala. Un limite del concorso è stato di non aver puntato all’eliminazione delle superfetazioni (non si parla in questo caso di stratificazioni storiche), cercando di recuperare pareti e pavimentazioni originali.
Aspetto non trascurabile ma fondamentale è il significato e scopo di un museo. Ormai gli spazi museali sono diventati contenitori di eventi: i nuovi direttori gareggiano fra loro a chi ha più affluenza – obiettivo di per sé neanche sbagliato – e ogni mezzo diventa lecito. Si susseguono così sempre nuove mostre, con il rischio che i visitatori, attirati dall’installazione dell’artista contemporaneo o dalla rassegna internazionale in voga, trascurino le più importanti opere custodite da centinaia di anni. Questi musei tra l’altro hanno anche il vezzo della riorganizzazione, ricollocazione e riordino, non sempre con eccelsi risultati. Ovviamente anche Palazzo dei Diamanti non si è sottratto a questa logica.
A sorprendermi però sono stati i contrapposti “appelli alle armi” promossi da sostenitori e oppositori al progetto vincitore cassato poi, su pressione di Vittorio Sgarbi, dal ministro Bonisoli.
Interpellata dalle due opposte fazioni, mi sono rifiutata di firmare sia pro che contro, non solo perché in conflitto d’interessi avendo io partecipato al concorso ma anche perché ritengo deontologicamente non corretto che architetti in attività si schierino contro colleghi. Trovo però inopportuno, e parimenti scorretto, che sia stata proposta una richiesta di solidarietà da parte di colleghi (anche concorrenti) e dagli Ordini, solo perché è stato reso pubblico il provvedimento di sospensione o revoca del progetto, cosa invece piuttosto frequente.
Per quanto i bandi e i disciplinari di gara siano ben studiati, seguano le direttive del codice appalti e le indicazioni Anac, nei concorsi di restauro occorrerebbe una maggior selezione dei requisiti, una commissione esaminatrice di esperti veri non solo basata sulla notorietà ma sui risultati raggiunti in progetti similari. Le aggiunte possono costituire un valore ma possono anche determinare una compromissione esiziale alla bellezza.