Le sue origini non sono ancora note, ma esiste un’associazione tra la Sclerosi laterale amiotrofica (Sla) e i calciatori professionisti, che “si ammalano mediamente due volte di più rispetto alla popolazione generale”. È quanto emerge da un’indagine epidemiologica italiana condotta dai ricercatori dell’Istituto Mario Negri di Milano, coordinati da Ettore Beghi, in collaborazione con l’Ospedale universitario di Novara e l’Istituto superiore di sanità (Iss). I dettagli della ricerca saranno illustrati a maggio, a Philadelphia (Usa), al meeting annuale dell’American Academy of Neurology.

I ricercatori italiani sono partiti dall’analisi dei nomi dei calciatori presenti nelle collezioni degli album di figurine Panini, a partire dalla stagione 1959-1960 fino al 1999-2000. In tutto 23.875 atleti dei campionati di serie A, B e C, che gli studiosi hanno seguito fino al 2016. Nel periodo in esame i casi di Sla individuati tra i calciatori sono stati in totale 32, di cui 10 di serie A. I più colpiti sono i centrocampisti, con 14 casi, seguiti dai difensori con 9, dagli attaccanti con 6 e, infine, dai portieri con 3 casi.

“L’aspetto importante che abbiamo riscontrato è che negli ex calciatori l’età media dell’insorgenza della Sla è all’incirca 20 anni più bassa, intorno ai 43 anni”, ha spiegato a IlFattoquotidiano.it Ettore Beghi, responsabile del laboratorio malattie neurologiche dell’Istituto Mario Negri di Milano. “Significa che magari questi ex calciatori avrebbero contratto ugualmente la malattia per caso, ma in età più avanzata. Di per sé, ovviamente – sottolinea lo studioso –, l’attività sportiva non fa male. Ma a certi livelli, se si è predisposti, potrebbe comportare un aumento del rischio, e contribuire a un’insorgenza più precoce della malattia”.

La possibile associazione tra malattia e attività fisica era già stata ipotizzata in uno studio del 2018 che ha tra i firmatari lo stesso Beghi, pubblicato sul Journal of Neurology Neurosurgery&Psychiatry (British Medical Journal). Come dimostra la presenza di molti sportivi tra coloro che si sono ammalati di Sla: dai calciatori Stefano Borgonovo, morto nel 2013 e Gianluca Signorini, deceduto nel 2002, all’ex giocatore di baseball Lou Gehrig, morto nel 1941, che ha dato il nome alla Sla, conosciuta anche come morbo di Lou Gehrig. Nello studio del 2018 gli autori sostengono che “l’esercizio fisico potrebbe avere un qualche effetto neurotossico su persone con una predisposizione genetica alla malattia”.

La Sla è una malattia neurodegenerativa progressiva, che colpisce selettivamente le cellule nervose preposte al controllo dei movimenti volontari, i cosiddetti motoneuroni. I suoi effetti sono invalidanti, come dimostra l’esistenza del celebre cosmologo Stephen Hawking, scomparso il 14 marzo 2018 dopo aver convissuto con la Sla per decenni, costretto su una sedia a rotelle e incapace di muoversi e di parlare, se non attraverso un sintetizzatore vocale. Secondo l’Associazione italiana sclerosi laterale amiotrofica (Aisla), i malati di Sla nel mondo sono circa 450.000, di cui più di 6.000 in Italia. E nel 2040 l’aumento medio nel mondo dei malati potrebbe essere del 32%, con le donne tra le più colpite (+40%). Come rivela uno studio italo-americano del 2016, pubblicato su Nature e frutto della collaborazione tra Adriano Chiò, responsabile del Centro Sla delle Molinette di Torino, e Bryan Traynor, dei National Institutes of Health (NIH) Usa.

Le cause della Sla sono ancora poco note e non è possibile fare previsioni esatte sul suo decorso. “Si tratta di una malattia multifattoriale in cui un ruolo importante è giocato dalla genetica”, chiarisce Beghi. “Anche se non conosciamo le origini della Sla, possiamo tuttavia affermare che l’ambiente contribuisce alla comparsa della malattia in modo più precoce. E tra i fattori ambientali – sottolinea lo scienziato del Mario Negri – ci sono i traumi cranici e l’attività fisica. Come dimostra adesso anche l’indagine sui calciatori. Uno studio epidemiologico – chiarisce l’esperto – che è, in realtà, parte di un’indagine più ampia. Il nostro prossimo obiettivo – conclude Beghi – sarà infatti valutare, attraverso i dati su ricoveri e decessi, se l’attività agonistica possa comportare anche un rischio maggiore, oltre che per la Sla, anche per altre malattie neurodegenerative, come l’Alzheimer e il Parkinson”.

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