Lo scrivono i giudici della VI sezione nelle motivazioni del provvedimento che ha portato all’annullamento senza rinvio dell’obbligo di firma per Tesfahun Lemlem, la coindagata del sindaco di Riace nell’inchiesta “Xenia”
Reati commessi “probabilmente per finalità moralmente apprezzabili”, ma Mimmo Lucano era “pienamente consapevole della illegalità di alcune sue condotte finalizzate ad ‘aiutare’ extracomunitari”. Lo scrive la VI sezione della Cassazione nelle motivazioni del provvedimento che ha portato all’annullamento senza rinvio dell’obbligo di firma per Tesfahun Lemlem, la coindagata del sindaco di Riace nell’inchiesta “Xenia”. La donna, di origine etiope, è accusata di favoreggiamento dell’immigrazione irregolare in concorso con Lucano per il quale devono essere ancora depositate le motivazioni della Cassazione che, a fine febbraio, ha parzialmente annullato la misura cautelare rimandando la decisione a un altro Tribunale del Riesame.
Secondo la Procura di Locri e la Guardia di finanza, infatti, Lemlem avrebbe orchestrato un finto matrimonio con un uomo che sarebbe in realtà suo fratello. L’obiettivo, stando all’impianto accusatorio, era di permettergli di venire in Italia dall’Etiopia. Progetto che non è stato portato a termine in quanto l’uomo è stato arrestato in Africa perché trovato in possesso di documenti falsi. Per la Cassazione, è un episodio isolato per cui il rischio che Lemlem reiteri il presunto reato ha “scarsa concretezza”. Ecco perché la misura cautelare per l’indagata etiope è stata revocata senza rinvio.
Stando ad alcuni stralci della sentenza, pubblicati dalle agenzie di stampa, la Suprema Corte sottolinea che nell’inchiesta della Procura di Locri sull’accoglienza dei migranti a Riace vi sono “dati informativi” dai quali, “in termini esaurientemente congrui e logicamente ineccepibili”, il Tribunale del Riesame “ha desunto l’esistenza di una ramificata attività formalmente lecita, gravitante intorno al fenomeno della protezione internazionale per gli stranieri richiedenti asilo e rifugiati, nell’ambito della quale risultano commessi taluni reati (probabilmente per finalità moralmente apprezzabili, ma formalmente integranti gli estremi di illeciti) connessi alla creazione di situazioni apparenti finalizzate alla celebrazione di ‘matrimoni di convenienza’ o ‘di comodo’ tra italiani e straniere allo scopo di permettere a quest’ultime di trattenersi in Italia”.
Nella sentenza della Cassazione sono stati inseriti anche alcuni stralci di intercettazioni in cui Lucano avrebbe affermato di aver aiutato una ragazza disperata. Per i giudici del “Palazzaccio”, però, Lucano e Lemlem avrebbero concordato una “specifica iniziativa criminosa”. Secondo la Corte, infatti, il sindaco “sospeso” di Riace avrebbe rilasciato alla ragazza etiope “una attestazione comunale nella quale era stata omessa l’indicazione del suo stato di coniugata”.
Per entrambi, e per altri 28 indagati, nei giorni scorsi la Procura di Locri ha chiesto il rinvio a giudizio. La prima udienza preliminare è stata fissata il primo aprile davanti al gup Amelia Monteleone. Oltre che di favoreggiamento dell’immigrazione clandestina, Mimmo Lucano deve rispondere di alcune irregolarità nell’affidamento del servizio di raccolta dei rifiuti a due cooperative locali. Le accuse più pesanti, però, riguardano la gestione dei fondi per l’accoglienza. A Lucano vengono contestati i reati di abuso d’ufficio e concussione, ma anche di essere il promotore di un’associazione a delinquere che aveva lo scopo di commettere “un numero indeterminato di delitti (contro la pubblica amministrazione, la fede pubblica e il patrimonio), così orientando l’esercizio della funzione pubblica del ministero dell’Interno e della prefettura di Reggio Calabria, preposti alla gestione dell’accoglienza dei rifugiati nell’ambito dei progetti Sprar, Cas e Msna e per l’affidamento dei servizi da espletare nell’ambito del Comune di Riace”.