In una sola giornata l'Assemblea regionale siciliana chiarisce come immagina il futuro della politica: con meno donne ma più poltrone da spartire. E lo fa in modo trasversale, nel senso che le due leggi sono votate da tutti. Compreso il Movimento 5 stelle, che ha presentato l'emendamento soppressivo della norma per obbligare i sindaci a comporre giunte con almeno il 40% di parità di genere. Poi passato grazie al voto (segreto) di pezzi della maggioranza. Cancelleri (M5s): "Per eleggere le donne non serve una legge, basta candidarle in posizione utile. Noi abbiamo 20 consiglieri e 8 sono donne"
No alle quota rosa. Sì a 355 posti da assessori in più nelle giunte dei comuni. In una sola giornata l’Assemblea regionale siciliana chiarisce come immagina il futuro della politica: con più poltrone da spartire, ma a patto che siano occupate dagli uomini. E lo fa in modo trasversale, nel senso che le leggi in questione sono votate da tutti: una anche dal Movimento 5 stelle. Sono stati i grillini, infatti, a presentare l’emendamento che ha soppresso l’articolo 1 del disegno di legge sulla composizione delle giunte comunali in Sicilia. Solo che quell’articolo prevedeva l’obbligo di garantire almeno il 40 percento di rappresentanza di genere nelle città con più di 15mila abitanti.
Quote rosa Ko col voto segreto – “Per fare eleggere le donne non serve una legge, basta candidarle in posizioni utili all’elezione”, ha sostenuto Giancarlo Cancelleri, leader del M5s Sicilia. Con il voto segreto, però, la maggioranza del governatore Nello Musumeci è andata sotto. O meglio ha votato contro se stessa: l’emendamento “cancella quote rosa”, infatti, è passato con 26 voti a favore e 16 contrari. I 5 stelle hanno in totale 20 consiglieri regionali: è evidente, dunque, che quella norma sia stata cancellata anche con il sostegno di politici di altri schieramenti. Pure della maggioranza.
I franchi tiratori – Il governo della Sicilia è stato battuto anche su un altro emendamento, anche questo soppresso: quello che prevedeva la incompatibilità fra la carica di assessore e quella di consigliere comunale. L’intero disegno di legge si chiamava: “Norme in materia di composizione della giunta comunale e di incompatibilità tra la carica di consigliere comunale e la carica di assessore comunale”. In pratica tra quote rosa e incompatibilità la maggioranza è riuscita a farsi cancellare le due norme simbolo della riforma. A rimanere in piedi sono stati, però, altri passaggi della legge. Il più importante è quello che prevede più posti nelle giunte comunali sull’isola. Una legge che moltiplica le poltrone da spartirsi nelle amministrazioni locali. Una vera manna per i partiti: e infatti l’articolo moltiplica poltrone è stato approvato dall’Ars senza colpi di mano. Senza, cioè, che la maggioranza votasse contro la proposta del governo.
Il poltronificio siciliano – In questo modo si creeranno fino a 355 posti da assessore in più. Toccherà comunque ai sindaci decidere se allargare o meno le giunte. A Palermo, per esempio, al momento gli assessori sono 8: il sindaco Leoluca Orlando potrà nominarne altri 3, fino a un massimo di 11. A Catania da 8 si può arrivare a 10. La legge prevede 4 assessori per i comuni fino a 10mila abitanti, 5 tra 10 e 30mila abitanti, 7 tra 30 e 100mila, 9 per le città tra i 100 e 250 mila, 10 tra 250 e 500 mila, 11 quando gli abitanti sono più di mezzo milione.
Gli attacchi bipartisan al voto bipartisan – Assessori a parte, però, a scatenare il dibattito in aula è stata soprattutto la soppressione della legge sulle quote rosa. “È stata affossata una norma di civiltà politica e di buon senso, peraltro già prevista dalla legge nazionale. Un’altra occasione perduta per la Sicilia grazie a un accordo trasversale fra destra e una parte dell’opposizione, talmente imbarazzato dover ricorrere al voto segreto”, attacca Claudio Fava. Concordi nel criticare la bocciatura sia maggioranza che opposizione, nonostante l’emendamento soppressivo abbia riscosso un sostegno trasversale, seppur col voto segreto. Il capogruppo del Pd Giuseppe Lupo parla di “passo indietro sul terreno presenza delle donne nelle istituzioni“, mentre Marianna Caronia di Forza Italia definisce un “atto codardo” la votazione col voto segreto: “C’è chi pensa, ma non ha il coraggio di dire pubblicamente, che le donne in politica devono avere una posizione residuale e soprattutto non devono sedere nei luoghi di governo”.
L’attacco con il lapsus: “Omofobi” – I 5 stelle si sono difesi bollando il dibattito come “strumentale“. “Non ci vuole una legge per fare entrare le donne in politica, per farle fare le riempilista. In realtà basta candidarle. Per questo nel gruppo parlamentare del M5s su venti deputati otto sono donne. E molte erano capilista nei loro collegi. Per non parlare dei comuni, dove nel nostro caso si deve parlare di quote azzurre”, ha provato a difendere i suoi Cancelleri. Non è bastato. L’esponente dell’Udc Eleonora Lo Curto ha chiesto la parola a Sala d’Ercole, è salita sul podio del Parlamento più antico d’Europa e ha scagliato il suo anatema contro i grillini. Solo che si è confusa: “Siete omofobi“. Praticamente un assist. “Cosa c’entra? Al massimo si dice misogino“, hanno replicato i grillini.
La riforma per chi emigra – L’Ars ha anche modificato la legge per le elezioni nei comuni con meno di 15mila abitanti: fino ad oggi, quando c’era un unico candidato sindaco, occorreva che votassero almeno il 50 percento più uno degli aventi diritto. Ora il quorum sarà calcolato escludendo gli elettori residenti all’estero. Una riforma che fotografa il prepotente ritorno alle emigrazioni di massa. Dall’isola più a Sud d’Europa si continua a partire. La classe dirigente corre ai ripari: ci saranno più posti da assessore. Più lavoro. Ma solo se fai il politico.