Il Dipartimento della Giustizia ha deciso di sostenere legalmente la sentenza di un giudice federale che a dicembre ha invalidato l’intera legge sanitaria: una scelta diretta del presidente, galvanizzato dopo essere stato 'scagionato' dal rapporto sul Russiagate. I repubblicani preoccupati: la mossa rischia di scontentare larghe fette dell'elettorato. Per i democratici è invece un'opportunità per uscire dall'angolo dopo le conclusioni di Mueller
Negli Stati Uniti si riapre la guerra sull’Obamacare. Il Dipartimento della Giustizia ha deciso di sostenere legalmente la sentenza di un giudice federale che a dicembre ha invalidato l’intero Affordable Care Act, la legge sanitaria voluta da Barack Obama. I repubblicani assistono preoccupati alla mossa dell’amministrazione, che rischia di dispiacere a larghi settori di elettorato. I democratici vedono invece nelle polemiche un modo per superare la cocente sconfitta rimediata con il rapporto di Robert Mueller sul Russiagate. In generale, la decisione appare in linea con la radicalizzazione del messaggio politico che Donald Trump ha scelto in vista delle presidenziali 2020.
Il caso relativo all’Obamacare è in questo momento al vaglio del Quinto circuito della Corte d’appello, che deve valutare una sentenza del dicembre scorso, in cui un giudice texano, Reed O’Connor, ha dichiarato incostituzionale l’intero Obamacare. O’Connor rileva nella sua sentenza che non essendoci più una pena pecunaria, nel caso un americano non si doti di un’assicurazione sanitaria (il precedente Congresso, a maggioranza repubblicana, ha infatti azzerato le pene), l’intera architettura della legge di Obama viene a cadere. Si tratta di un’interpretazione che difficilmente la Corte d’appello potrà sostenere. Nel 2012 la Corte Suprema aveva infatti riconosciuto la costituzionalità del “mandato individuale”, dell’obbligo a dotarsi di un’assicurazione, a prescindere dalla presenza di una pena pecuniaria.
La sentenza di O’Connor pareva dunque un episodio della lunga, snervante guerra dei conservatori contro l’emblema più odiato degli otto anni di presidenza di Barack Obama. Un episodio soprattutto simbolico, da sventolare di fronte ai supporter più radicali ma senza che ci fossero conseguenze reali a livello politico e legislativo. Del resto, molti repubblicani sono ancora bruciati per quanto successo alle elezioni di midterm 2018, quando proprio l’opposizione all’Obamacare è stata una delle ragioni della sconfitta di molti candidati conservatori. Senza contare un altro elemento importante: cancellare l’Obamacare, senza che ci sia in vista l’approvazione di una nuova legge, sarebbe un atto disastroso, tale da gettare l’intero sistema nel caos.
E invece, nonostante previsioni e aspettative, l’amministrazione Trump ha deciso di riaprire lo scontro. La scelta di sostenere la sentenza del giudice O’Connor è stata personalmente sponsorizzata da Trump, attraverso il suo capo staff Mick Mulvaney, contro lo stesso parere del segretario alla giustizia, William Barr, che avrebbe preferito lasciar perdere. D’altra parte, è stata sinora prassi del Dipartimento alla Giustizia chiedere cambiamenti parziali della legge sanitaria, e non la sua cancellazione. A questo punto, Barr sarà invece costretto a mandare i suoi avvocati di fronte alla Corte d’appello per appoggiare l’opinione di O’Connor. Una mossa di cui avrebbe fatto volentieri a meno, considerate le scarse possibilità di successo.
La scelta di riaprire lo scontro sulla sanità ha preso di sorpresa molti repubblicani. Mitch McConnell e Kevin McCarthy, rispettivamente capogruppo del Senato e della Camera, hanno preferito non commentare. Molti repubblicani – che nel 2020 affrontano una difficile rielezione – sanno che la legge nel suo complesso è entrata nelle abitudini di molti americani e che alcune parti di essa, soprattutto l’impossibilità per le assicurazioni di rifiutare una polizza sulla base di preesistenti condizioni mediche, sono molto popolari. I democratici hanno invece colto al volo l’occasione. Bruciati dalle conclusioni del rapporto di Robert Mueller, che di fatto scagionano Trump dall’accusa di collusione con i russi, vedono nella difesa dell’Obamacare un’occasione di rivincita. Soprattutto i candidati alla presidenza si sono fatti sentire. “Nel 2020 dobbiamo eleggere un presidente che renda la salute un diritto”, ha detto la senatrice Kamala Harris, in corsa per la candidatura.
Resta da chiedersi perché Trump abbia deciso di far esplodere lo scontro proprio ora. La vittoria giudiziaria nel Russiagate lo ha decisamente galvanizzato. Giovedì, in uno Stato-chiave come il Michigan, salirà sul podio di un comizio della serie Make America Great Again. Il presidente si sente già in campagna elettorale e ritiene che l’assoluzione di Mueller possa dare forza al suo messaggio. In un pranzo privato con i repubblicani del Senato, martedì, Trump ha parlato di un “nuovo inizio” e dettato le linee di una rinnovata agenda legislativa in vista del 2020.
Tra gli obiettivi, una legge sanitaria che sostituisca l’Obamacare (che non ha possibilità di passare, vista la maggioranza democratica alla Camera); la nuova intesa di libero scambio per il Nord America e un accordo commerciale con la Cina; la continuazione dei lavori per la costruzione del muro con il Messico, per cui nei giorni scorsi il Pentagono ha stanziato un miliardo di dollari. Fanno parte del nuovo attivismo anche mosse apertamente polemiche come la decisione di valutare se nel Dipartimento alla Giustizia ci sia stato un complotto per alimentare l’inchiesta sul Russiagate; o il memo inviato ai producers delle principali Tv in cui si chiede di escludere dalle trasmissioni quegli opinionisti particolarmente critici col presidente.
Sanità, immigrazione, commercio, accuse di tradimento a stampa e avversari politici. Sono questi i principali fronti che Trump e il suo staff scelgono in vista delle presidenziali. Nella speranza che l’economia tenga (il Pil del quarto trimestre è cresciuto del 2,2%, in ribasso rispetto alle stime), che la disoccupazione continui a scendere, che il prezzo della benzina resti basso, e che quindi al sostegno del suo elettorato più conservatore si aggiunga, il 3 novembre 2020, anche l’appoggio di ampi settori di voto indipendente.