In ogni sequenza e fotogramma, la cineasta ha saputo mostrare delicatezza e ambiguità del dubbio esistenziale, il palpitare silenzioso del cuore, l’osservazione gentile di anime apparentemente dure e teneramente fragili.
Adieu Agnes Varda. Geniale, originale, anarchico folletto del cinema mondiale. Pioniera della Nouvelle Vague, donna determinata, irrefrenabile, libera. La regista di origine belga, Oscar alla carriera nel 2018, moglie innamorata magicamente in eterno del marito regista Jacques Demy, ci ha lasciati nelle notte del 29 marzo, all’età di 90 anni.
Sembrano poche cose, invece in ogni film della Varda, in ogni sequenza e fotogramma, la cineasta ha saputo mostrare delicatezza e ambiguità del dubbio esistenziale, il palpitare silenzioso del cuore, l’osservazione gentile di anime apparentemente dure e teneramente fragili. Al centro del racconto, spesso e volentieri, una donna. Soprattutto nei lavori della maturità. Anche se già l’introspezione individuale del protagonista del suo primo cortometraggio viene scombussolato proprio dall’arrivo della moglie nel paesino natio di pescatori dove si è rifugiato ed è lei a dettare narrazione, svolte e finale con la macchina da presa che finalmente si libera da lacci e lacciuoli dell’imbalsamato “cinema di papà” commerciale.
Esuberante, schiva, legata in una maniera incredibile al marito Demy fin dal 1958, Varda ha poi saputo rimescolare le carte del destino con un film particolarissimo come Le Bonheur/Il verde prato dell’amore dove il fluttuare pop di colori (i girasoli, gli abiti, le vetture) investe un journal intime al maschile di tradimento impossibile e ricerca della felicità per una vera coppia nella vita che recita la parte di un postino e sua moglie nella finzione. Discorso più tragico ma identico in Senza tetto né legge, nel rimescolare le carte del destino individuale immergendo una ragazza (Sandrine Bonnaire) vagabonda tra le strade di campagna e i suoi incontri casuali di uomini prima della tragica morte. Anche se gli anni sessanta e settanta sono il periodo della contestazione e dell’emancipazione. E Varda si esprime parallelamente con il linguaggio del documentario.
Partecipa alla realizzazione di Lontano dal Vietnam nel 1967, il lavoro di Chris Marker, assieme a Godard, Leoluch e Joris Ivens; nel ’68 immortala le Black Panthers a Oakland in California; poi ancora intesse un’amicizia con Jim Morrison fino alla sua morte nel ’71; osserva e documenta vicini di casa nella strada parigina dove abita, ma gira anche un documentario sulle statue neoclassiche della capitale. Irriducibile, instancabile, Varda non si piega alle mode, continua ad osservare attorno a sé, poi le capita di divertirsi e scandalizzare quando con Kung-fu Master (1985) la protagonista adulta del film (Jane Birkin) si innamora di un quattordicenne e stabilisce una relazione con lui. Capolavoro assoluto, infine, in questo mare magnum di spunti, inserti, corti e lunghi, documentari improvvisati, fotografie, è Les plages d’Agnès nel 2008. Un documentario autobiografico totalizzante, intenso e commovente, in cui Varda gioca con i ricordi di una carriera, saltellando su una spiaggia dove le scritte della vita si cancellano con un’onda del mare, dove siede spiritosa sulla classica sedia da regista, dove gioca con gli specchi addolorati di un’anima bella che ha incontrato il cinema e senza troppo clamore l’ha rivoluzionato.