Nel centro Afol di Milano trova lavoro il 24% degli utenti, contro una media nazionale del 3%. Il direttore: "Reddito di cittadinanza? Il sistema deve parlarsi con una banca dati condivisa. Ma il governo deve mettere intorno a un tavolo il sistema delle imprese che fanno da sole"
La prima fase delle politiche attive del governo M5s-Lega, quella di sostegno alle famiglie più povere, è iniziata dopo il 6 di marzo con la richiesta di accesso al redditto di cittadinanza. La fase successiva, quella che dovrà far incontrare i beneficiari, senza occupazione, con la domanda che viene dal mercato del lavoro, comincerà a breve. E i 552 centri per l’impiego italiani ne saranno gli attori principali.
L’esecutivo, nella legge di Bilancio, ha stanziato un miliardo di euro con l’obiettivo, a lungo termine, di riformarli e di assumere nell’immediato 4mila dipendenti (a oggi il personale arriva a circa 8mila unità contro le quasi 100mila della Germania). Stando all’ultimo rapporto di Anpal, però, meno del 3% degli utenti che si rivolgono ai centri trova lavoro. Così, perché il provvedimento fortemente voluto dal M5s e dal ministro del Lavoro, Luigi Di Maio, funzioni e il reddito di cittadinanza non si configuri soltanto come una misura di assistenzialismo, è necessario che quella percentuale si alzi. Tuttavia le strutture, un po’ in tutta Italia, presentano gravi problemi: i software sono obsoleti, gli addetti occupano la maggior parte del proprio tempo rincorrendo pratiche burocratiche, non esiste una banca dati nazionale e, soprattutto, le aziende faticano a rivolgersi a centri e agenzie del lavoro (solo il 9% lo fa, fonte: INAPP), preferendo fare da sé.
A Milano esiste un centro per l’impiego “virtuoso”. Si chiama Afol Metropolitana, è un’azienda pubblica partecipata da 68 comuni e nel 2017 ha garantito l’avvio di nuovi contratti al 24% dei propri utenti. “Principalmente nei settori della moda, benessere, meccanica, agroalimentare, logistica, commercio, amministrazione e ristorazione” ha spiegato il direttore, Giuseppe Zingale. “Il nostro sistema funziona perché riusciamo a soddisfare le esigenze dei datori di lavoro e perché i nostri addetti sono altamente qualificati. Come fare a estendere il nostro modello a livello nazionale? I passaggi fondamentali sono due. Il primo: i centri per l’impiego e le Regioni devono ‘parlarsi’, il che significa che bisogna creare una banca dati nazionale. Il secondo è che il governo deve mettere intorno a un tavolo la rete delle imprese per far sì che comincino a gestire le proprie vacancy attraverso i centri”.
Twitter: @albmarzocchi