Nessuno conosce il suo vero nome e neppure il suo volto, che è sempre coperto da una mascherina. Questo ha contribuito a far diventare Myss Keta una divinità per molti. La sua musica, sempre all’avanguardia e provocatoria, ha fatto il resto. Hanno cercato di definirla in tanti modi negli ultimi anni (“l’unica popstar della scena postmoderna”, “un angelo con il volto velato”, “una donna di spettacolo e una spettacolo di donna”), ma è impossibile racchiudere il mondo di Myss in poche parole. Il 29 marzo è uscito PAPRIKA, il nuovo album per Island/Universal Music Italia, già disponibile in tutti i negozi di dischi e sulle piattaforme digital. Il titolo vuole essere un omaggio a Tinto Brass, mentre la copertina la raffigura mezza nuda sopra a una mortadella. “Così mettiamo subito le cose. Quando parla Myss, la chiarezza è d’obbligo. Con la copertina si ha il primo dialogo visivo con chi ascolta. In questo modo ho deciso di comunicare comunicare subito il mood dell’album, che è uno scintillante caleidoscopio di situazioni sexy e variopinte”.
La copertina in realtà è una citazione. Quella è la stessa posizione che aveva assunto Valeria Marini nella locandina del film Bambola, la sua prima prova d’attrice.
“Una prova superata a pieni voti, dico io. L’immagine di Valeriona sulla mortadella è stata la prima che è venuta in mente a tutti noi di Motel Forlanini quando abbiamo cominciato a lavorare su Paprika. Avevamo proprio questa divinità sopra di noi, Valeria Marini che ci guardava dalla mortadella, e l’abbiamo celebrata in maniera myssketiana”.
Ecco, come si può descrivere l’universo myssketiano a chi è meno avvezzo?
“Lo definirei un universo in continua espansione in cui si perdono i sensi e se ne acquistano di nuovi. Un posto dove si gustano le canzoni e si guardano i suoni”.
Stavolta nell’album parla addirittura d’amore. Anche se sono amori fugaci, inseguimenti lisergici e love story consumate in maniera ironica e consapevole, non ne aveva mai parlato prima.
“(annuisce) Il mio precedente album, UNA VITA IN CAPSLOCK, era un dialogo interiore di ricerca spirituale. Con PAPRIKA sono passata a parlare con gli altri. Ho deciso di aprirmi con l’esterno ed è inevitabile che in questa apertura si incappi anche nei sentimenti che si rivolgono all’altro. Parlo di amore in tutte le sue forme, celebrandolo anche in maniera speziata”.
In un brano cita Belen e in un altro anche Fabrizio Corona.
“Mamma e papà praticamente, io li chiamo così nell’intimità. Per me sono due punti di riferimento della pop-culture moderna”.
Da Guè Pequeno a Gemitaiz: ci sono tante collaborazioni nei 14 brani di PAPRIKA. Anche una con Mahmood, il fresco vincitore di Sanremo.
“E’ una collaborazione di cui vado orgogliosa. Quasi tutte le collaborazioni sono nate perché volevamo instaurare un dialogo con un determinato tipo di artista. Ho conosciuto prima Mahmood come persona e poi come artista: questo secondo me si sente nella canzone, c’è un tipo di intimità molto percepibile. Il brano – che si intitola Fa paura perché è vero – è molto intimo, ne sono orgogliosa. E’ uno dei pochi feat in cui potevo spogliarmi degli orpelli”.
Che ne pensa di quello che ha dovuto subire dopo Sanremo, tra outing forzati e rivendicazioni politiche?
“Sa, dopo Sanremo puoi venir travolto da una serie di conseguenze, ma credo che Mahmood si stia comportando in maniera elegante. Lo supporto”.
Lei a Sanremo c’andrebbe mai?
“Sì, per favore, sì. Voglio il palco dell’Ariston”.
Con Elenoire Ferruzzi, la diva della comunità lgbt, che tipo di dialogo voleva instaurare?
“E’ stato un litigio praticamente, non un dialogo (ride, ndr). Oltre a essere una donna intelligente, Elenoire è una mia amica: si è prestata a questo divertissement con ironia, la stessa ironia che condivide con me”.
Tra l’altro anche lei è un’icona per i gay.
“Madonna, sì! Myss è cresciuta nell’underground queer milanese: sono nata lì, è un ambiente che mi ha dato tanto dal punto di vista valoriale e umano”.
Quando si sei vista sui social della Treccani, cosa ha pensato?
“Ho pensato: finalmente! Sono molto contenta ragazzi. Questa cosa in particolare, da linguista quale sono, la rivendico con orgoglio. Presto scriverò la mia enciclopedia”.
Ormai da anni è esposta mediaticamente. Eppure tramite una semplice ricerca sui social non si trova né il suo vero nome né il suo volto. E’ dura mantenere l’anonimato?
“La cosa che probabilmente è difficile da capire per gli altri, ma che per me è semplicissima, è che Myss Keta è un personaggio con la maschera e gli occhiali. Non è altrimenti. Batman è Batman quando indossa quei vestiti, l’Uomo Ragno anche. Myss Keta è Myss Keta. Non vedo neanche la necessità di andare a indagare…”.
Quando la definiscono trash, s’incazza?
“Lei si incazzerebbe?”.
Dipende dall’accezione che si vuole dare alla parola trash.
“Esatto: dipende da chi lo dice e da come viene detto. Mi dichiaro un mix tra l’altro e il basso, tra il serio e il faceto”.
Cos’è trash nella società per lei?
“Io cerco di evitare questa parola perché è stata travisata troppe volte. Preferisco riferirmi a una pop-culture contemporanea”.
Da un po’ di tempo a questa parte alcuni suoi colleghi rapper e trapper vengono considerati un cattivo esempio per le nuove generazioni perché parlano di droghe nelle loro canzoni.
“Vedo della sterilità in questa polemica. Allora erano dei cattivi esempi anche Baudelaire e i poeti francesi che per loro stessa ammissione bevevano e si drogavano? Non mi pare. Anzi, sono finiti sui libri di storia. Da sempre l’arte e la cultura si è espressa su tutti gli aspetti della vita, anche quelli più intimi”.
Spesso le chiedono un’opinione su Milano, essendo lei una regina della notte milanese. Invece io le chiedo un parere sull’Italia di oggi: qual è la visione myssketiana?
“Viviamo in un momento di entropia totale. Personalmente mi tengo salda ai miei valori e alle mie verità. L’universo valoriale di Myss è quello dell’accettazione di se stessi e degli altri, dell’uguaglianza totale tra le persone, indipendentemente da qualsiasi tipo di provenienza o di differenza altra. Lo so, è un po’ come se stessi leggendo la carta internazionale dei diritti che sembra essere stata dimenticata in questo periodo, ma secondo me bisogna tornare a quella roba lì. Ci stiamo dimenticando dei fondamenti, invece bisognerebbe tenerci saldi a questi valori che tanto banali non sono più”.
Tra l’altro lei non ha ancora litigato con nessun politico. Com’è possibile?
“Fuori dalle lenzuola. Perché dentro alle lenzuola ne ho avuti tanti di litigi…”.