Cosa sarebbe il cinema (italiano) senza Terence Hill (e Bud Spencer)? Il regalo migliore nel giorno in cui Mario Girotti compie 80 anni è dirgli che è detentore di un record spettacolare che sicuramente non sa: è l’attore vivente con più presenze, ben 8 (tra cui il quarto posto assoluto con E continuavano a chiamarlo Trinità, 1971), tra i 50 film che hanno registrato più spettatori nella storia del cinema italiano. Per dire: Zalone e Benigni sono a 1, Celentano ne ha 3.
Un campione assoluto di popolarità che, come se non ne avesse bisogno, ha assurto la dimensione del mito con l’incredibile successo della serie tv Don Matteo che dal 2000 è ancora oggi in produzione. Occhi azzurri, ciuffo biondo e sguardo sbarazzino, di Mario/Terence se ne accorse Dino Risi nel 1951 quando ancora il capello del ragazzo veneziano con vita in Germania per via del lavoro del padre era ancora scuro. Tante particine da ragazzetto fascinoso e irriverente, poi il salto di qualità ne Il Gattopardo di Visconti (1963) quando ancora è Girotti.
Nel 1967 nasce il nome d’arte Terence Hill sul set dello spaghetti western Dio perdona io no (per la cronaca 33esimo titolo più visto in Italia con quasi dieci milioni di spettatori in sala). Lì dove conosce e lavora per la prima volta con Carlo Pedersoli, già Bud Spencer. Da quel dì la carriera di Terence Hill accelera come un treno. Difficile mettere ordine, classificare, gerarchizzare una quantità di titoli che sono puro immaginario collettivo per almeno tre generazioni. Se volete inserire davanti a tutti i due Trinità fate bene e avete ragione, ma per chi scrive i ceffoni che comincia a tirare come un novello Zagor assieme a Bud da …altrimenti ci arrabbiamo (1974) in avanti sono qualcosa di insuperabile. Guascone, sorridente, agile e atletico, Terence è quello più saltellante e giocoso della coppia che mena per ristabilire ordine e giustizia sociale, quello che sai che un paio di pugni li prenderà ma ne darà comunque più lui. Porgi l’altra guancia, Pari e dispari, Io sto con gli ippopotami (qui in chiave animalista, con la liberazione degli animali nella savana), Chi trova un amico trova un tesoro (tra i più visti assieme ai Trinità nelle decine di passaggi tv anche dopo 30 anni) e soprattutto Nati con la camicia (qui Terence fa il furfante ventriloquo e viene scambiato persino per agente della CIA) sono quei film che riguarderesti in loop, all’infinito con una spensieratezza sincera e adolescenziale senza mai stancarti. Se non è una medaglia al valore diteci voi.
Certo, ci sono anche le cose meno belle. Le regie non proprio insuperabili (quel Don Camillo proprio…) ma anche esempi di un kitsch ragguardevole come Lucky Luke o l’introspettivo Il mio nome è Thomas del 2017. E poi c’è la voce di Terence Hill. Quella vera che tutti hanno imparato ad ascoltare da quando viene usata la sua in Don Matteo, ma che negli anni è stata la fortuna tra almeno una mezza dozzina di doppiatori del grandissimo Pino Locchi, quello che diede voce a parecchi Sean Connery per intenderci. Tante sfumature comiche in più oltre alla performance fisica e allo sguardo azzurro penetrante di Mario Girotti. Pura, naturale, inconfondibile macchina cinema, di quelle che non se ne fabbricano più.