A rimettere mano alle prove del concorso truccato saranno i commissari a processo per averle alterate. Un clamoroso cortocircuito giudiziario-amministrativo piomba sul concorso per 69 posti da dirigente del 2013 presso l’Agenzia delle Dogane che da sei anni impegna entrambi i rami della giustizia. Il tribunale di Roma ha disposto ieri il rinvio a giudizio per 11 dipendenti accusati di averlo truccato. La prima udienza del dibattimento è fissata per l’11 giugno. Alla sbarra, insieme a nove funzionari candidati, andranno anche i commissari Alberto Libeccio e Enrico Maria Puja. Le accuse sono di truffa aggravata, abuso d’ufficio, violazione delle leggi in materia di concorsi. La notizia viene accolta con prudenza ai piani alti dell’Agenzia, tra l’ipotesi di un annullamento, dopo opportuna valutazione delle motivazioni del giudice, e l’auspicio di un passo indietro dei commissari.
La notizia infatti non si ferma qui. Nonostante i gravi indizi di reato, a gennaio il concorso è stato “salvato” in via amministrativa dal Consiglio di Stato che ha stabilito di procedere a una anonimizzazione degli elaborati non corretti collegialmente, tramite una commissione interna nominata ad hoc, dando così modo all’Agenzia di ottemperare a una sentenza dell’aprile 2016 che aveva stabilito che la ricorrezione dovesse avvenire per mano della commissione originaria, pena una ingiusta disparità di trattamento tra i candidati. In pratica, la nullità della prova. Nel frattempo però la vicenda è andata avanti sotto il profilo penale, tanto che oggi si può sostenere che non solo l’organo requirente ma anche quello giudicante ritenga il concorso di fatto truccato.
Nessuno però ha pensato a sostituire i commissari. Risultato: salvo nuove decisioni, a rimettere mano alle prove del concorso arci-truccato saranno proprio i commissari per i quali il gup Daniela Ceramico D’Auria ha appena disposto il rinvio a giudizio. Nella pur ricca casistica dei concorsi viziati d’Italia, non era mai accaduto. Tale circostanza rafforza la richiesta di annullamento mossa fin dal 2015 dal sindacato Dirpublica e dagli avvocati della parti civili, forti anche di un altro considerevole paradosso della storia: l’Agenzia delle Dogane, che mai ha sospeso gli indagati-esaminatori, è costituita parte civile contro di loro nel processo che si celebra da prossimo giugno.
Libeccio e Puja – stando all’accusa – avrebbero selezionato tracce preventivamente comunicate ad almeno otto concorrenti, citati nella richiesta di rinvio a giudizio e, in collaborazione con uno dei partecipanti, avrebbero anche creato fotocopie di testi di Gazzette ufficiali e di Regolamenti Europei che in realtà erano manipolati per nascondere all’interno tracce (poi regolarmente uscite) e svolgimento delle stesse. Quindi i candidati favoriti avevano il vantaggio di conoscere in anticipo i temi, e per evitare che sbagliassero avevano già pronti gli svolgimenti. A detta della Procura, entravano con il compito già fatto e – guarda caso – sono risultati vincitori del concorso.
Per contro, è stata esclusa la funzionaria Claudia Giacchetti, unica parte offesa riconosciuta dal Gip insieme all’Agenzia stessa (ma ci sono altri danneggiati dal reato costituiti parte civile) che – con l’assistenza dell’avvocato Paolo Palleschi – denunciò il tutto, pagando a caro prezzo questa scelta: dopo aver raccontato pubblicamente il fatto, ha subito un procedimento disciplinare e demansionamenti lavorativi, in barba alle strombazzate tutele per chi denuncia fatti illeciti interni alla pa, i cui effetti perdurano ancora oggi, nonostante il nuovo vertice dell’Agenzia abbia segnato un cambio di rotta.
“Come si vede, questa è una faccenda che va anche oltre la costituzione della commissione che dovrà ricorreggere i temi”, argomenta l’avvocato di parte del giudizio amministrativo Carmine Medici. “Certo, già quella presenta un problema importante perché il rinvio a giudizio di due componenti della commissione su tre, per gravi fatti di reato, implica che questa commissione non può più procedere alla correzione, come ha statuito il Consiglio di Stato”. Ma c’è di più.
“A prescindere da chi sia chiamato a farlo, non è sostenibile che si proceda a ricorreggere prove scritte quando è acquisito che siano state redatte da candidati che, non sappiamo in quale numero, possono essersi avvantaggiati dall’attività illecita della commissione che ha falsato il concorso. Detto altrimenti: se hai avuto la traccia prima, sicuro l’hai svolta bene, anche agli occhi della nuova commissione. Di fatto è venuta meno alla radice la trasparenza della procedura concorsuale nella sua capacità di selezionare i migliori candidati in un confronto concorrenziale non falsato”. La palla ora passa ai vertici dell’Agenzia e all’Avvocatura di Stato.