A fine gennaio la Dda aveva emesso i decreti di fermo per 19 ospiti del centro. Tra i latitanti arrestati in queste ore c'è anche quello che è ritenuto il boss dell'organizzazione, Happy Uwaya, bloccato a Parigi
Sono stati bloccati a Parigi, Marsiglia, Nizza, Nancy, ma anche a Ratisbona in Germania. È finita la latitanza di una decina di nigeriani, tutti ricercati in Italia e considerati appartenenti a un’organizzazione mafiosa che ha operato per diverso tempo in Sicilia. Sono stati arrestati dalla polizia, in collaborazione con i colleghi francesi e tedeschi, in forza di un mandato di arresto europeo che il gip del tribunale di Catania aveva firmato il 26 gennaio: a tutti la Procura contesta l’associazione di stampo mafioso finalizzata al traffico di droga, violenza sessuale, anche di gruppo.
A fine gennaio la Dda aveva emesso i decreti di fermo per 19 ospiti del centro. Tra i latitanti arrestati in queste ore c’è anche quello che è ritenuto il boss dell’organizzazione, Happy Uwaya, bloccato a Parigi. Secondo la squadra mobile di Catania e dello Sco gli arrestati fanno parte di un’organizzazione diffusa in vari Paesi in Europa e non di matrice “cultista” chiamata “Vikings” o “Supreme Vikings Confraternity“. Si tratta di una delle mafie nigeriane attive in Italia. La base di questa cellula siciliana era il Cara di Mineo. Proprio in questo centro, secondo le indagini, si sono verificati più volte scontri con altri gruppi per avere e mantenere il predominio sulle altre comunità straniere.
Gli indagati appartenevano tutti alla cellula denominata “Catacata M.P. (Italy siciliy) – De Norsemen Kclub International“, operante a Catania e provincia. Uwaya era ritenuto il capo ed organizzatore, in qualità di “executioner“, e da Henry Samson, ritenuto l’organizzatore della rete associativa finalizzata al traffico di sostanze stupefacenti. L’associazione – spiega la polizia – imponeva la propria egemonia sul territorio, opponendosi e scontrandosi con gruppi cultisti rivali al fine di assumere e conservare il predominio nell’ambito delle comunità straniere presenti all’interno di quel centro di accoglienza, creando un forte assoggettamento omertoso.