Tra loro era il “patto” o “l’accordo”. Ma secondo il gip di Prato Francesca Scarlatti era “un vero e proprio ricatto”. Basato sul sesso, su una gravidanza inaspettata per una coppia così lontana d’età e sulle minacce di suicidarsi se lui avesse interrotto la relazione. Il cuore delle 33 pagine di ordinanza di custodia cautelare che hanno portato ai domiciliari l’infermiera di Prato di 31 anni, “insegnante” di ripetizioni di inglese, sta nelle chat con il 14enne che – come appurato dai test del dna – è il padre del bambino venuto alla luca in estate. Lei ora è accusata di violenza sessuale su minore e per induzione. Secondo il giudice, infatti, la 31enne non solo ha fatto sesso per un anno e mezzo con un minore ma – sempre secondo il tribunale – ha anche messo in piedi “una penetrante attività di condizionamento” nei confronti del ragazzino ottenendo da lui “oltre ad una, chiaramente forzata, dichiarazione d’amore, la incondizionata disponibilità a proseguire la relazione sessuale, che troverà interruzione soltanto quando la madre scoprirà la chat”.
Un “condizionamento” che, secondo il gip di Prato, trova riscontro nelle 175 pagine di chat che i consulenti della Procura hanno acquisito dai telefoni e dai pc dei due protagonisti della vicenda. Scambi infiniti di messaggi whatsapp e Facebook Messenger ad ogni ora del giorno, anche mentre il ragazzo è a scuola, che raccontano di una relazione sessuale iniziata nella primavera del 2017 che ha portato a una gravidanza e poi, fino a poche settimane fa, a un “ricatto” morale. Questo “ricatto” – che però i due chiamavano “accordo” – era basato su due minacce da parte della “prof”: quello di portare il figlio nella stessa palestra frequentata dal giovane e da sua madre e quella di togliersi la vita. E’ per questo che il ragazzino, impaurito, ha deciso di portare avanti la relazione.
“Non portare il bambino in palestra, ti prego”
L’idea di questo “accordo” risale ad una conversazione del 13 gennaio: dopo due settimane senza incontri, lei porta il bambino in palestra e lui se ne lamenta. “Te lo chiedo per l’ultima volta – si legge nelle chat riportate nell’ordinanza del giudice – NON LO DEVI PORTARE IN PALESTRA. Te lo dico per l’ultima volta, già mi hai rovinato la vita, puoi evitare di portarlo in palestra”. Lei gli risponde che non può dargli una risposta certa, ma che lo potrà fare solo di persona e allora il ragazzino si mostra angosciato: “Ti prego non lo portare sono incasinato già con la scuola non mi creare altri problemi”. E ancora: “Ti dico che sono in una situazione che non so neanche a concentrarmi a scuola, ti prego davvero”. Le risposte di lei non lo rassicurano e a quel punto il ragazzino cede: “Ti prego voglio andare bene a scuola e fare felici i miei, te lo scongiuro faccio ciò che vuoi”. E’ allora che viene suggellato l’accordo: lei non avrebbe più portato il bambino in palestra e in cambio lui sarebbe andato a casa sua quando lei lo avrebbe chiamato.
“Vieni?”, “Sono a scuola e devo studiare”
Da quel momento in avanti, in tutte le conversazioni tra i due, l’infermiera fa sempre riferimento all’accordo. Lei gli chiede continuamente di potersi vedere ma lui spesso non può per gli impegni di un 14enne. Come, per esempio, la scuola. “Come faccio a fidarmi? – gli dice lei dopo l’ennesimo rifiuto –. Prima mi dici vengo quando vuoi, poi dici se posso vengo”. Lui gli risponde che in quel momento è a scuola (“devo stare attento”) assicurandole che l’avrebbe chiamata appena uscito. La replica della 31enne non lascia spazio a interpretazioni: “Ci guadagni un culo da scop… e non ti vedi l’errore dei tuoi 14 anni”. Lui a quel punto si dice “obbligato” ad andare, lei gli risponde che lo ama e il dialogo si chiude con l’accordo che i due si sarebbero visti il giorno dopo. L’incontro poi non si concretizza perché il ragazzino aveva già in programma una ripetizione aggiuntiva. Ma non da lei. L’infermiera reagisce stizzita e richiama i termini dell’accordo: “Però facendo così in qualche modo mi obblighi a venire – è la risposta del ragazzo – Io ho voglia di studiare, e anche tanta, ho poco tempo anche per me stesso”.
“Io ti amo, ma tu?”
L’infermiera non manca mai di esprimere il suo amore. Ma cerca di capire anche cosa prova lui. In una chat dell’8 gennaio lei contesta al giovane di aver tolto dal profilo whatsapp l’indicazione sull’ultimo accesso facendola ingelosire. Il 14enne si giustifica dicendo che lo ha fatto “per far credere alla propria istruttrice che stesse dormendo”, sottolinea la giudice, ma lei non sembra credere a questa versione: “Non incominciare – è la risposta dello studente – ogni tanto mettiti nei miei panni, sono un ragazzo di 15 anni, non puoi farmi delle domande a cui non sanno rispondere nemmeno gli adulti tra poco”. In successive conversazioni, il ragazzo le dice chiaramente che ci ha preso “gusto” dal punto di vista sessuale ma che “sentimentalmente” non la ama. Invece lei pare manifestare gelosia. Lui la blocca su facebook e pubblica una storia insieme a una sua coetanea. Ma la 31enne riesce a vederla dal profilo del figlio. E nasce una nuova lite: “Uno non può nemmeno mettere una storia, stai diventando possessiva” gli dice lui. “Ora so per certo che ami una persona quindi (…) cioè non capisco se ami questa, cosa tu ci faccia da me, veramente”. La replica del giovane dice tutto: “mi stai portando all’esasperazione”. E subito dopo: “Non hai il controllo su di me, sono libero di fare le mie scelte”.
“Vieni o mi ammazzo”
Uno dei due elementi del “ricatto” è la minaccia di suicidarsi se la storia fosse finita. “Devo solo trovare un modo quasi indolore” dice l’infermiera al 14enne. Oppure: “Lo farò ben bene, prima prenderò i farmaci poi mi inietterò aria nelle vene”. Il ragazzino si sente responsabile di questa situazione, è preoccupatissimo: “No dimmi che dovrei dirti per farti cambiare idea (…) Ho 15 anni, non mi sono mai trovato davanti a queste situazioni”. E lei replica che l’unico modo per aiutarla è incontrarla: “Per me sei la malattia, ma anche la cura, vieni se ti va, questo devi fare”. Due giorni dopo, mentre il ragazzo è a scuola, l’infermiera gli manda una foto con gambe grondanti di sangue. La didascalia è fin troppo esplicita: “Mi taglio”. Il 22 febbraio la situazione sembra rasserenarsi. I due si incontrano, scrive il gip, parlano e basta e “il ragazzo si dice contento di averla fatta ragionare”. La donna in chat però torna sulla prospettiva che i due possano amarsi e vivere insieme in futuro: “Nel tuo ideale quanti figli pensi di volere?” chiede lei. “Ora io ho 15 anni non ne ho proprio idea” ribadisce lui.
Le minacce di suicidio sono un elemento essenziale che porta gli investigatori ad ipotizzare il reato di induzione alla violenza sessuale: “Deve ritenersi che tali prospettazioni di intenti suicidiari – scrive il gip nell’ordinanza – siano espressione di una precisa strategia volta a suscitare il coinvolgimento emotivo del minore e a farlo sentire in colpa indicandolo come ragione di tale disperato proposto e dunque indurlo a proseguire la relazione sessuale”. Pochi giorni dopo, il 27 febbraio, la madre scopre le chat tra la donna e il figlio e si fa raccontare tutto: presenta querela in Procura e parte l’inchiesta che porta agli arresti. Perché? Avrebbe tentato nuovi approcci con il ragazzo.