Dopo il post precedente sulla preponderanza dei fossili nel settore elettrico previsto dal Piano Nazionale Integrato per l’Energia e il Clima del governo, qui ci proponiamo di analizzare lo stesso piano sotto il profilo dei trasporti. In una situazione come quella odierna di crescente allarme per gli effetti del cambiamento climatico e di mobilitazione eccezionale delle nuove generazioni ci si aspetterebbe un’azione di informazione e formazione adeguata. Anticipo che chi pensava che l’indicazione fosse di portare l’Italia sulla “rotta giusta” non può che rimanere deluso anche per quanto riguarda la mobilità.
Partiamo dal contesto internazionale. Secondo Bloomberg nel 2020 sarà raggiunto il picco del petrolio per gli autoveicoli leggeri. La previsione di 300 milioni di auto elettriche su strada nel 2040 ridurrà di tre volte la domanda odierna di 3 milioni di barili al giorno. In alcuni mercati la domanda di petrolio sta già calando negli autobus, per cui il passaggio all’elettrico farà calare di 233.000 barili al giorno il petrolio entro la fine dell’anno. Se si aggiunge la cilindrata più piccola delle auto elettriche, i barili diventano 279.000. Essendo le auto anche dispositivi di cultura e comportamento, entrambi possono cambiare più rapidamente di quanto suggeriscono i modelli. Dove i regolamenti sono rigidi, come in Cina, tutti i principali produttori nazionali ed esteri che operano nel paese devono soddisfare requisiti minimi per i veicoli elettrici, ibridi e a celle a combustibile. Quando esporteranno i loro marchi, dalla Cina verrà ulteriore riduzione di benzina e gasolio per autotrazione.
E in Italia? “Business as usual”, sotto il segno di confusioni ed equivoci a bella posta. La bacchetta magica lasciata trasparire dal Piano si chiama “carburanti alternativi”. Sono molti e di ben diverso impatto l’uno rispetto all’altro, specie se considerati sull’intero loro ciclo di vita, dalla fonte di estrazione alle ruote che fanno girare una volta impiegati in diversi motori. Nel Piano compaiono l’elettricità e l’idrogeno, vettori a minore o maggiore impatto a seconda che provengano da fonti rinnovabili o, al contrario, da fossili; c’è il gas naturale che finisce in motori a combustione; ci sono i biocarburanti, che hanno soprattutto funzioni di supplenza ridotta sempre in motori a scoppio: cose, insomma, che non potrebbero essere più diverse fra loro, ma messe nello stesso mucchio. Tipica l’affermazione di pagina 88 [qui il documento]: “Ci si propone di accelerare la sostituzione del parco autovetture, autobus e mezzi di servizio in modo che le Pubbliche Amministrazioni siano obbligate all’acquisto di almeno il 30% entro il 2022, il 50% entro il 2025 e l’85% entro il 2030 di “veicoli elettrici e veicoli ibridi con ricarica esterna, a metano e a idrogeno, nonché elettrici o metano nel caso degli autobus”. L’uno vale l’altro. E sì che manifestazioni e scienziati notificano un’emergenza!
La verità è che il Piano è chiaramente orientato per continuare con l’uso dei combustibili fossili. “Manca qualsiasi accenno a una data indicativa per il phase out dei veicoli a benzina e diesel, fissata per il 2025 in Olanda e per il 2040 in Francia e Regno Unito. Il Piano a parole sostiene la diffusione della mobilità elettrica per persone e merci, ma l’energia elettrica che sarà usata nei trasporti nel 2030 sarà ancora prodotta per quasi il 40% usando combustibili fossili. Il Piano, in accordo con le compagnie petrolifere, incoraggia l’uso del metano, non solo per la produzione di elettricità, ma anche come “combustibile pulito ponte” per la mobilità. E’ vero che a parità di energia prodotta, il metano genera il 24% in meno di CO2 rispetto a benzina e gasolio, ma va tenuto presente che il metano è un gas serra 72 volte più potente di CO2 e che nella lunga filiera del metano si stima ci siano perdite di almeno il 3%! Senza contare la pericolosità del particolato frutto della sua combustione. Come mai l’obiettivo al 2040 rimane il 37% di metano, identico al consumo del 2016? Ce lo spiegano la Snam, l’Eni, o chiunque col metano ci dà una mano?
Ricorrendo ad una osservazione di un gruppo di ricercatori già citato, esprimo tutta la mia preoccupazione per quanto riguarda la politica industriale nel settore della mobilità, dacché il Piano lascia correre che le case automobilistiche italiane non investano affatto nella svolta necessaria, ma continuino a produrre auto ad uso privato a benzina o diesel, quando non si dedicano esplicitamente alla fabbricazione di auto di lusso e/o di Suv, utilizzando incentivi diretti o indiretti. La FCA ha annunciato che, accanto ai Suv Alfa Romeo e Lancia che già produce, costruirà a Modena, dove gli operai della Maserati sono sotto occupati, una nuova super sportiva ad alta gamma a partire dall’autunno 2020. Ci si dovrebbe interrogare su quale sia il “valore sociale” di questo tipo di “lavoro” e sarebbe anche opportuno chiedersi per quanto tempo potranno andare avanti queste produzioni prima di trovare rifugio, ancora una volta, negli ammortizzatori sociali. Intanto, sempre FCA ha annunciato, in grave ritardo rispetto ai concorrenti tedeschi e francesi, la produzione di un veicolo elettrico, la 500, a partire dalla seconda metà del 2020 a Mirafiori, dove nel frattempo verranno messi in cassa integrazione per un anno 3.245 dipendenti, tra operai e dirigenti.
Infine occorre ricordare che la spinta anche nel settore dei trasporti per passare al gas, compreso il sostegno ad autocarri alimentati a GNL, spacciandolo per fonte alternativa al pari dell’energia elettrica, non tiene in conto che l’energia elettrica è più conveniente perché i motori elettrici sono 3-4 volte più efficienti di quelli a combustione.
La reazione a Greta Thunberg e alla sua mobilitazione avrebbe dovuto suscitare simpatia e sostegno, ma viene nei fatti sottoposta a noncuranza, se non, addirittura ad una cultura del “pensiero maligno”. La si vorrebbe strumentalizzata, “costruita” all’uopo. Ma ci si rende conto che in soli dieci anni, quando avrà 26 anni, continuando con roboanti Piani finti, il genere umano consumerà il 50% in più di energia – ancora in gran parte fossile – e il 30% in più di acqua – elemento che è già scarso e non potabile in gran parte del mondo – che è l’oggetto del desiderio da commerciare per le compagnie private?
Mario Agostinelli
Ecologista, politico e sindacalista
Ambiente & Veleni - 1 Aprile 2019
Dal fossile alle rinnovabili /2 – Anche sui trasporti in Italia continua a comandare Big Oil
Dopo il post precedente sulla preponderanza dei fossili nel settore elettrico previsto dal Piano Nazionale Integrato per l’Energia e il Clima del governo, qui ci proponiamo di analizzare lo stesso piano sotto il profilo dei trasporti. In una situazione come quella odierna di crescente allarme per gli effetti del cambiamento climatico e di mobilitazione eccezionale delle nuove generazioni ci si aspetterebbe un’azione di informazione e formazione adeguata. Anticipo che chi pensava che l’indicazione fosse di portare l’Italia sulla “rotta giusta” non può che rimanere deluso anche per quanto riguarda la mobilità.
Partiamo dal contesto internazionale. Secondo Bloomberg nel 2020 sarà raggiunto il picco del petrolio per gli autoveicoli leggeri. La previsione di 300 milioni di auto elettriche su strada nel 2040 ridurrà di tre volte la domanda odierna di 3 milioni di barili al giorno. In alcuni mercati la domanda di petrolio sta già calando negli autobus, per cui il passaggio all’elettrico farà calare di 233.000 barili al giorno il petrolio entro la fine dell’anno. Se si aggiunge la cilindrata più piccola delle auto elettriche, i barili diventano 279.000. Essendo le auto anche dispositivi di cultura e comportamento, entrambi possono cambiare più rapidamente di quanto suggeriscono i modelli. Dove i regolamenti sono rigidi, come in Cina, tutti i principali produttori nazionali ed esteri che operano nel paese devono soddisfare requisiti minimi per i veicoli elettrici, ibridi e a celle a combustibile. Quando esporteranno i loro marchi, dalla Cina verrà ulteriore riduzione di benzina e gasolio per autotrazione.
E in Italia? “Business as usual”, sotto il segno di confusioni ed equivoci a bella posta. La bacchetta magica lasciata trasparire dal Piano si chiama “carburanti alternativi”. Sono molti e di ben diverso impatto l’uno rispetto all’altro, specie se considerati sull’intero loro ciclo di vita, dalla fonte di estrazione alle ruote che fanno girare una volta impiegati in diversi motori. Nel Piano compaiono l’elettricità e l’idrogeno, vettori a minore o maggiore impatto a seconda che provengano da fonti rinnovabili o, al contrario, da fossili; c’è il gas naturale che finisce in motori a combustione; ci sono i biocarburanti, che hanno soprattutto funzioni di supplenza ridotta sempre in motori a scoppio: cose, insomma, che non potrebbero essere più diverse fra loro, ma messe nello stesso mucchio. Tipica l’affermazione di pagina 88 [qui il documento]: “Ci si propone di accelerare la sostituzione del parco autovetture, autobus e mezzi di servizio in modo che le Pubbliche Amministrazioni siano obbligate all’acquisto di almeno il 30% entro il 2022, il 50% entro il 2025 e l’85% entro il 2030 di “veicoli elettrici e veicoli ibridi con ricarica esterna, a metano e a idrogeno, nonché elettrici o metano nel caso degli autobus”. L’uno vale l’altro. E sì che manifestazioni e scienziati notificano un’emergenza!
La verità è che il Piano è chiaramente orientato per continuare con l’uso dei combustibili fossili. “Manca qualsiasi accenno a una data indicativa per il phase out dei veicoli a benzina e diesel, fissata per il 2025 in Olanda e per il 2040 in Francia e Regno Unito. Il Piano a parole sostiene la diffusione della mobilità elettrica per persone e merci, ma l’energia elettrica che sarà usata nei trasporti nel 2030 sarà ancora prodotta per quasi il 40% usando combustibili fossili. Il Piano, in accordo con le compagnie petrolifere, incoraggia l’uso del metano, non solo per la produzione di elettricità, ma anche come “combustibile pulito ponte” per la mobilità. E’ vero che a parità di energia prodotta, il metano genera il 24% in meno di CO2 rispetto a benzina e gasolio, ma va tenuto presente che il metano è un gas serra 72 volte più potente di CO2 e che nella lunga filiera del metano si stima ci siano perdite di almeno il 3%! Senza contare la pericolosità del particolato frutto della sua combustione. Come mai l’obiettivo al 2040 rimane il 37% di metano, identico al consumo del 2016? Ce lo spiegano la Snam, l’Eni, o chiunque col metano ci dà una mano?
Ricorrendo ad una osservazione di un gruppo di ricercatori già citato, esprimo tutta la mia preoccupazione per quanto riguarda la politica industriale nel settore della mobilità, dacché il Piano lascia correre che le case automobilistiche italiane non investano affatto nella svolta necessaria, ma continuino a produrre auto ad uso privato a benzina o diesel, quando non si dedicano esplicitamente alla fabbricazione di auto di lusso e/o di Suv, utilizzando incentivi diretti o indiretti. La FCA ha annunciato che, accanto ai Suv Alfa Romeo e Lancia che già produce, costruirà a Modena, dove gli operai della Maserati sono sotto occupati, una nuova super sportiva ad alta gamma a partire dall’autunno 2020. Ci si dovrebbe interrogare su quale sia il “valore sociale” di questo tipo di “lavoro” e sarebbe anche opportuno chiedersi per quanto tempo potranno andare avanti queste produzioni prima di trovare rifugio, ancora una volta, negli ammortizzatori sociali. Intanto, sempre FCA ha annunciato, in grave ritardo rispetto ai concorrenti tedeschi e francesi, la produzione di un veicolo elettrico, la 500, a partire dalla seconda metà del 2020 a Mirafiori, dove nel frattempo verranno messi in cassa integrazione per un anno 3.245 dipendenti, tra operai e dirigenti.
Infine occorre ricordare che la spinta anche nel settore dei trasporti per passare al gas, compreso il sostegno ad autocarri alimentati a GNL, spacciandolo per fonte alternativa al pari dell’energia elettrica, non tiene in conto che l’energia elettrica è più conveniente perché i motori elettrici sono 3-4 volte più efficienti di quelli a combustione.
La reazione a Greta Thunberg e alla sua mobilitazione avrebbe dovuto suscitare simpatia e sostegno, ma viene nei fatti sottoposta a noncuranza, se non, addirittura ad una cultura del “pensiero maligno”. La si vorrebbe strumentalizzata, “costruita” all’uopo. Ma ci si rende conto che in soli dieci anni, quando avrà 26 anni, continuando con roboanti Piani finti, il genere umano consumerà il 50% in più di energia – ancora in gran parte fossile – e il 30% in più di acqua – elemento che è già scarso e non potabile in gran parte del mondo – che è l’oggetto del desiderio da commerciare per le compagnie private?
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Il Cairo, 4 mar. (Adnkronos) - I leader arabi concordano di istituire un fondo fiduciario per finanziare la ricostruzione della Striscia di Gaza, devastata dalla guerra, sollecitando il contributo internazionale per accelerare il processo di ricostruzione. Secondo il comunicato finale del vertice della Lega araba al Cairo, visionato dall'Afp, il fondo "riceverà impegni finanziari da tutti i paesi donatori e dalle istituzioni finanziarie" per realizzare progetti di ricostruzione nel territorio.
Tel Aviv, 4 mar. (Adnkronos) - Il Ministero degli Esteri israeliano afferma che la dichiarazione del vertice arabo tenutosi al Cairo per discutere della ricostruzione di Gaza non ha affrontato la realtà della situazione successiva al massacro perpetrato da Hamas il 7 ottobre 2023. "È degno di nota che il feroce attacco terroristico di Hamas non venga menzionato e che non vi sia nemmeno una condanna di questa entità terroristica omicida, nonostante le atrocità documentate", afferma la dichiarazione.
il ministero elogia invece il piano del presidente degli Stati Uniti Donald Trump di trasferire i cittadini di Gaza, sostenendo — nonostante Trump parli di trasferire tutta la popolazione della Striscia — che in base a questo, "c'è un'opportunità per i cittadini di Gaza di scegliere liberamente. Questo deve essere incoraggiato".
Sana'a, 4 mar. (Adnkronos) - Gli Houthi hanno abbattuto un drone statunitense nei cieli della città portuale di Hodeidah nello Yemen. Lo ha dichiarato portavoce del gruppo, Yahya Saree, in un post su Telegram.
Washington, 4 mar. (Adnkronos) - Secondo due fonti informate sui colloqui, gli Stati Uniti e l'Ucraina potrebbero firmare l'accordo sui minerali già oggi. Lo rende noto Abc News, secondo cui Trump ha indicato ai suoi principali consiglieri che vorrebbe concludere l'accordo prima del suo discorso congiunto al Congresso.
Il Cairo, 4 mar. (Adnkronos) - Il vertice arabo convocato al Cairo ha adottato un piano egiziano per la ricostruzione di Gaza. Lo ha affermato il presidente egiziano Abdel-Fattah al-Sisi in una dichiarazione conclusiva. Il piano mira a contrastare le proposte del presidente degli Stati Uniti Donald Trump per una "Riviera mediorientale" con un piano per ricostruire la Striscia devastata senza sfollare la sua popolazione.
Parigi, 4 mar. (Adnkronos/Afp) - Il presidente francese Emmanuel Macron ha accolto con favore la volontà del suo omologo ucraino Volodymyr Zelensky “di riprendere il dialogo con gli Stati Uniti d'America”, secondo quanto riferito dall'Eliseo.
Il capo di Stato “ha ribadito la determinazione della Francia a lavorare con tutte le parti interessate per attuare una pace solida e duratura in Ucraina”, ha dichiarato la presidenza.
Roma, 4 mar. (Adnkronos) - Elly Schlein è netta sul piano lanciato oggi da Ursula Von der Leyen. "Noi non ci stiamo", la posizione della segretaria del Pd. Una linea che, pur con sfumature diverse, trova d'accordo anche l'area riformista dem. Servono "modifiche", dice Lorenzo Guerini. In particolare, a mettere tutti d'accordo è la bocciatura della proposta della presidente della Commissione Ue sulla possibilità di dirottare i fondi di Coesione sulle spese per la difesa. E non solo. Anche la deroga al patto di Stabilità da parte dei singoli Stati, fuori da regia e investimenti comuni sulla difesa, è giudicata un errore trasversalmente tra i dem.
Schlein ha già annunciato che porterà la posizione del Pd alla riunione dei Socialisti e Democratici giovedì mattina a Bruxelles, il pre-vertice che precede il Consiglio europeo straordinario. In vista dell'appuntamento Schlein oggi ha sentito il premier spagnolo Pedro Sanchez. "Una lunga conversazione sullo scenario internazionale e la complicata situazione mondiale", fanno sapere fonti dem. Quella del Pd è la delegazione più numerosa nella famiglia socialista europea. Senza l'ok dei socialisti il piano Von der Leyen traballa. "È il momento delle scelte e della chiarezza. Abbiamo bisogno di una risposta all'altezza della sfida globale - strategica, economica, politica - al ruolo dell'Europa nel mondo. E questa risposta non è quella presentata oggi", rimarca Schlein.
Negli equilibri interni al Pd, la sollecitazione dei riformisti è quella di lavorare per modificare il piano Von der Leyen, "aiutare ad andare nella direzione giusta" ed evitare che ci si arrocchi in un "no a tutti i costi". L'importante, si spiega, "è non mettere in discussione la necessità dell'aumento di risorse per la difesa europea". Per Guerini si tratta di un'esigenza "ineludibile". Quindi la sollecitazione del presidente del Copasir: "Ora bisogna mettersi al lavoro, innanzitutto all’interno del Pse, per confermare in maniera convinta il nostro impegno per maggiori investimenti e capacità militari europee provando a dare un indirizzo più coerente agli strumenti per farlo".
Per Schlein "quella presentata oggi da Von Der Leyen non è la strada che serve all’Europa. All’Unione europea serve la difesa comune, non il riarmo nazionale. Sono due cose molto diverse". Anche il titolo 'Rearm' ha fatto sobbalzare più di uno e anche la segretaria lo mette in evidenza. "Il piano Von Der Leyen, a partire dal titolo, punta sul riarmo e non emerge un indirizzo politico chiaro verso la difesa comune".
Quindi elenca i nodi: "Indica una serie di strumenti che agevolerebbero la spesa nazionale ma senza porre condizioni sui progetti comuni, sull’interoperabilità dei sistemi. Ci sono molti aspetti da chiarire, ad esempio su come funzionerebbe il nuovo meccanismo in stile Sure, per capire se finanzia progetti comuni o spesa nazionale. Ma questa -avverte- non è la strada giusta. Manca ancora la volontà politica dei governi di fare davvero una difesa comune e in questo piano della Commissione mancano gli investimenti europei finanziati dal debito comune, come durante la pandemia. Così rischia di diventare il mero riarmo nazionale di 27 paesi e noi non ci stiamo".
"Noi -insiste- abbiamo un’idea precisa. Quello che serve oggi è un grande piano di investimenti comuni per l’autonomia strategica dell’Ue, che è insieme cooperazione industriale, coesione sociale, transizione ambientale e digitale, sicurezza energetica e anche difesa comune. Anche, ma non solo! Magari cancellando le altre cruciali priorità su cui i governi sono più divisi. È irrinunciabile contrastare le diseguaglianze che sono aumentate. Per questo è inaccettabile utilizzare i fondi di coesione per finanziare le spese militari nazionali".
Punti critici che vengono rilevati anche dai riformisti. Per Guerini "la proposta Von der Leyen definisce giustamente l’obiettivo in termini di risorse", ma "così come è stata prospettata necessita di essere modificata: è sbagliato l’utilizzo dei fondi di coesione e c’è poco coraggio a sostenere un vero salto in senso europeo delle spese per la difesa". Avverte Alessandro Alfieri: gli strumenti "che mettiamo in campo devono portare ad una maggiore integrazione delle principali aziende della difesa europea. In questo senso, se non vengono messe condizionalità alle deroghe al patto di stabilità, l’aumento dei bilanci dei singoli Paesi verrà speso prevalentemente su mercati extra Ue, da cui oggi dipendiamo per l’80%. Aumentando la dipendenza strategica dagli Usa anziché diminuirla".
Per il coordinatore della minoranza dem, il Pd non dovrà far "mancare il proprio contributo in tutte le sedi così come spiegheremo che serve una narrazione diversa che convinca le opinioni pubbliche europee a sostenere la sfida ineludibile della costruzione della difesa europea. Magari chiamando questa sfida Protect Europe invece di Rearm. Perché anche il linguaggio ha la sua importanza...”.
Interviene anche Giorgio Gori a sollevare criticità: sarebbe "un errore - ritengo, da parte della Commissione Europea - autorizzare maggiori spese per la difesa dei singoli Stati membri, in deroga al patto di stabilità, fuori da una comune regia. Ciò finirebbe per approfondire la frammentazione, senza apprezzabili benefici per la sicurezza comune. La deroga dal patto dovrebbe invece essere autorizzata solo per gli investimenti comuni: così si porrebbero le condizioni per l'avvio di un vero sistema di difesa europeo". E poi "ugualmente discutibile appare poi la contrapposizione tra spesa per la difesa e spesa sociale, suggerita dalla facoltà per gli Stati membri di attingere ai fondi per la coesione". Intanto questa mattina la vicepresidente del Parlamento Ue, Pina Picierno ha lanciato un appello via social per un'Europa 'Libera e forte' in 5 punti, difesa comune compresa. Oltre duemila, finora, le adesioni.