Il quinto uomo a cui pensa Maurizio Piovanelli, scrive Repubblica, è lo stesso a cui ha fatto riferimento un'altra persona "un residente di Leno" che "lo scorso gennaio ha scritto una lettera alla Procura, firmandosi con nome e cognome, indicando che trattasi di un noto pedofilo"
“Mia figlia non è stata uccisa per avere detto no a un rapporto sessuale. Ma perché dietro al suo omicidio ci sono un mandante e un giro di pedofilia“. Maurizio Piovanelli, padre di Desirée che l’anno scorso ha ottenuto l’apertura di una nuova inchiesta, è convinto che la ragazza sia morta per mano di un uomo che non è finito in carcere come gli altri quattro. Tutti condannati in via definitiva per avere ucciso la 14enne a coltellate il 28 settembre 2002 in una cascina a Leno, nella bassa bresciana. Ma almeno un’altra persona, forse il mandante, potrebbe aver partecipato al delitto. Il quinto uomo a cui pensa Piovanelli è lo stesso a cui ha fatto riferimento un’altra persona “un residente di Leno” che “lo scorso gennaio ha scritto una lettera alla Procura, firmandosi con nome e cognome, indicando che trattasi di un noto pedofilo, e in effetti l’uomo risulta agli inquirenti già condannato per questo reato”.
La convinzione del padre, spiega Repubblica, è legata a due tracce biologiche “trovate sul giubbotto della ragazza, sul gomito destro e all’altezza del petto, sempre sulla parte destra”. Mai analizzate nonostante fossero state catalogate dai Ris di Parma come riconducibili “ad un soggetto di sesso maschile diverso dagli indagati“. “Non so perché, ora mi auguro che la procura cerchi questo ignoto”, continua Piovanelli. “Ignoto”. Una parola che rimanda al caso di Yara Gambirasio, dove proprio quel dna di Ignoto 1 ha permesso di individuare Massimo Bossetti, condannato all’ergastolo per l’omicidio della 13enne di Brembate. E ora la speranza di molti a Leno, scrive il quotidiano, è che accada quanto successo nel paese della provincia bergamasca, dove “vennero prelevati 18mila campioni genetici ad altrettante persone. Leno ha oltre 14mila abitanti, sempre che il quinto uomo risieda lì”.
Un anno fa il padre di Desirée ha presentato un esposto in Procura a Brescia sostenendo una tesi diversa rispetto a quella agli atti processuali. E davanti al sostituto procuratore Barbara Benzi qualche giorno prima di ritrovarsi sul cancello di casa un fantoccio con un teschio aveva sostenuto che la ragazzina fosse stata vittima di pedofili. “Un atto intimidatorio” dicono i legali della famiglia Piovanelli. Gli stessi avvocati che ora hanno depositato in Procura una richiesta ufficiale per trovare di chi sia il dna della traccia biologica rimasta per 17 anni solo nelle carte dell’inchiesta. “Quella traccia biologica è ancora catalogata nei laboratori dei Ris di Parma. Può essere la chiave per sbloccare il caso nella direzione che il padre di Desirée ipotizza”, spiega l’avvocato Alessandro Pozzani, legale della famiglia della 14enne. Per il delitto di Desirée Piovanelli sono stati condannati in via definitiva gli allora minori Nicola Bertocchi, Nicola Vavassori e Mattia Franco, che hanno scontato le pene di 18, 15 e 10 anni oltre all’unico adulto del gruppo, Giovanni Erra ancora in cella e che dal carcere ha dato mandato ai suoi legali di chiedere la revisione del processo.