Franco Giorgi, intermediario di affari ascolano accusato di traffico internazionale di armi, è stato estradato da Tripoli in Italia. Atterrato nel primo pomeriggio nell’aeroporto di Ciampino, i Carabinieri del Ros hanno notificato all’uomo, 75 anni, un’ordinanza di custodia cautelare, emessa dal Gip del Tribunale di Ascoli Piceno, in quanto ritenuto responsabile di intermediazione nella vendita di materiale d’armamento. “Un buon viatico – ha commentato il ministro della Giustizia Alfonso Bonafede – per i prossimi negoziati con la Libia e un altro successo nella cooperazione giudiziaria”.
Giorgi era stato fermato in Libia nel marzo 2015. Il 30 agosto 2016 il gip di Ascoli Piceno aveva emesso un’ordinanza di custodia nei suoi confronti ma il provvedimento non gli era stato notificato in quanto detenuto in Libia per il reato di immigrazione clandestina. Quel giorno i carabinieri del Ros avevano arrestato ad Ancarano (Teramo) Gamal Saad Rezkalla Botros, cittadino egiziano, che avrebbe tentato di introdurre in Libia per conto di Giorgi un ingente quantitativo di armi e munizioni: tra missili anticarro, mille pistole Rx calibro 9 millimetri, 45 fucili mitragliatori ‘sniper’, da cecchino, giubbotti antiproiettile, munizioni, puntatori laser, il valore degli armamenti fu stimato il 17 milioni di euro.
Le armi erano destinate ai fratelli Ibrahim Khalifa Alarbi El Tumi e Mohamed Khalifa Alarbi El Tumi, che intermediavano in favore di acquirenti non identificati, in violazione dell’embargo cui era assoggettata la Libia a seguito di varie risoluzioni Onu. Il tentativo di importazione delle armi, provenienti da Serbia, Slovenia e Bulgaria mediante società riconducibili al Giorgi, non si concretizzò perché Botros, dopo essersi impossessato dell’anticipo di 190mila euro versato dagli acquirenti, si rese temporaneamente irreperibile facendo fallire gli accordi. Le investigazioni consentirono di raccogliere a carico del Giorgi indizi di colpevolezza relativi ad analoghi reati si intermediazione di materiali d’armamento destinato alla Corea del Nord, all’Iraq, al Libano e agli Emirati Arabi senza essere in possesso delle prescritte autorizzazioni.
Secondo un rapporto del Consiglio di sicurezza dell’Onu, Giorgi sarebbe stato “il principale mediatore italiano” del network di Abdurraouf Eshati, un libico arrestato e condannato a sei anni in Gran Bretagna per un traffico da 28,5 milioni di dollari di armi destinate alle milizie di Zintan.
L’ascolano era stato già sfiorato in passato da due inchieste su un traffico di armi verso la ex Jugoslavia. Nel 2002, Giorgi, per qualche tempo residente a Tirana, era stato arrestato nella sua
villa di Ascoli su ordine del Gip di Torre Annunziata. Era sospettato di aver partecipato ad un traffico internazionale di armi e munizionamento da guerra, fatti per i quali era già stato indagato anche nel ’98 (ma poi scagionato) nell’inchiesta Cheque to cheque. Rimase detenuto per pochi giorni: il tribunale del Riesame di Napoli lo rimise in libertà e le accuse vennero archiviate. Fu anche ascoltato dalla Commissione parlamentare di indagine che si occupò del caso Ilaria Alpi.
Le stesse indagini che avevano portato all’emissione dell’ordinanza di custodia cautelare nei confronti di Giorgi, dice ancora Bonafede, “sono state svolte in concerto con l’autorità giudiziaria britannica, l’Onu e la Repubblica di Slovenia, in una proficua collaborazione internazionale. Questa è la dimostrazione di quanto sia importante il meticoloso lavoro che si svolge quotidianamente per assicurare alla giustizia latitanti e condannati che hanno pensato, sbagliando, di poterla fare franca oltrepassando i confini del Paese”. “Continuiamo a lavorare, col massimo riserbo che richiede questa attività, per riportare in Italia chi ha ancora un conto in sospeso con la giustizia” perché, “non mi stancherò mai di dirlo, – conclude il Guardasigilli – alla giustizia italiana non si sfugge”.