“Lui deve star fuori, devono giocare gli altri per come si è comportato. Mediare per fargli indossare la maglia dell’Inter è una cosa umiliante”. Adesso è tutto chiaro: il caso Icardi-Inter è diventato il caso Icardi-Spalletti. Proprio quando la telenovela sembrava conclusa, il tecnico nerazzurro la riaccende con un’esclusione clamorosa, una sconfitta pesantissima e dichiarazioni velenose che qualcuno potrebbe interpretare anche nei confronti della dirigenza, visto che dal punto di vista societario il caso sembrava più o meno risolto. Invece no: il caso Icardi non è chiuso, non lo è per nulla. Di più. Adesso c’è il rischio che diventi qualcosa di personale.
In un campionato sempre più noioso, con lo scudetto assegnato, il secondo posto deciso, e due squadre già virtualmente retrocesse da mesi, per fortuna c’è l’Inter che trova sempre nuovi modi ed argomenti per far parlare di sé. In realtà l’argomento ormai da un pezzo è sempre lo stesso: Mauro Icardi. Cambiano le variazioni sul tema. Strepitosa l’ultima: faticoso reintegro, mediazione del noto avvocato milanese Nicoletti, intercessione dello storico presidente Moratti, la sosta per le nazionali, il primo allenamento dopo un mese da malato immaginario, i gol in partitella, l’infortunio di Lautaro come un segno del destino. Tutto prepara il suo ritorno propizio in campo. E poi Spalletti nemmeno lo convoca, motivando come ha fatto l’esclusione nel dopo partita.
Il problema è che stavolta il campo gli ha dato torto. Se il derby contro il Milan aveva dimostrato che l’Inter ha un’anima anche senza il suo (ex) capitano, la partita contro la Lazio ha pure ricordato che non può fare a meno per sempre dei suoi gol. Non è una contraddizione, la solita volubilità mediatica a distanza di nemmeno due settimane, solo due facce della stessa medaglia. Contro la Lazio l’Inter ha perso un match rovinoso: vincendolo avrebbe praticamente ipotecato la qualificazione in Champions, così l’ha completamente riaperta, facendosi risucchiare dai capitolini (virtualmente a meno due) e ritirando dentro persino l’Atalanta. Tutto per colpa di un’ostinazione. La controprova che con Icardi in campo l’Inter non avrebbe perso non c’è. Il sospetto molto fondato sì: ieri i nerazzurri non sono affondati a San Siro. Hanno disputato una gara discreta, specie all’inizio fino al primo gol di Milinkovic, e alla fine nel forcing disperato. Senza entusiasmare per carità, ma a tratti dominando, buttando una gran quantità di palloni nell’area avversaria. Dove però senza Lautaro infortunato e con Keita fuori ruolo e fuori condizione non c’era nessuno. Icardi, anche controvoglia, anche a mezzo servizio, ieri avrebbe fatto molto comodo. Non a Spalletti, però, che ha definito “umiliante” il suo comportamento. Ha ragione, ma anche giocare con Vecino centravanti (dopo Ranocchia, e i teenager della primavera) è umiliante per l’Inter.
L’impressione è che il tecnico toscano non sia disposto a passar sopra a una questione che la società sembrava pronta ad archiviare. Spalletti contro un capitano e giocatore simbolo però è un film già visto. A Roma se lo ricordano bene. Certo, le differenze fra Icardi e Totti sono enormi, patrimonio della squadra il primo e della tifoseria il secondo, uno nel pieno della carriera, l’altro al momento dell’addio. Le esclusioni clamorose, le conferenze stampa infuocate, le frecciate incrociate però sono più o meno le stesse. Oggi come allora probabilmente Spalletti aveva ragione, nell’anteporre il gruppo al singolo. Ma il gruppo viene prima anche del suo ego (o di qualche altro senatore dello spogliatoio). Il modo migliore per chiudere questa stucchevole vicenda, dando una lezione a Icardi, alla moglie-procuratrice-showgirl Wanda Nara e alle loro manie da primattori è sfruttare il centravanti argentino quando ce n’è bisogno, utilizzarlo solo ed esclusivamente in base alle esigenze della squadra. Ieri sera contro la Lazio Icardi serviva, e servirà ancora per andare in Champions. Per questo deve tornare a giocare. “Prima l’Inter”: ce l’ha insegnato Spalletti.