Leonardo da Vinci guardò sempre con grande curiosità ed enorme intelligenza i vortici e le onde dell’acqua, le correnti fluviali e il loro impatto sul fondo e sugli ostacoli. L’idraulico Enzo Macagno (San Vicente, Argentina, 1914 – Iowa City, Usa, 2012) è stato uno dei maggiori studiosi del XX secolo sul tema dell’acqua nell’eredità di Leonardo, dedicando a questi studi l’ultima parte della sua vita, nostro ospite a Milano per alcuni anni. Egli affermava a ragione l’importanza del Codice Leicester – esposto agli Uffizi qualche mese fa – quale principale fonte del Libro dell’Acqua che Leonardo non scrisse mai: “Il libro, mai scritto, e il Codice, che fortunatamente possediamo, non si comprendono veramente l’uno senza l’altro”. E numerosi sono i fogli del codice che disegnano il fenomeno di cui parleremo qui.

Aprendo il rubinetto e osservando l’acqua che scorre sulle superficie del lavello, vediamo crescere poco a poco una pozzanghera sul fondo, che si propaga ma tende a rallentare sui bordi. L’acqua sembra quasi accumularsi, disegnando un gradino che rimane lì bloccato fino a quando il bacile inizia a riempirsi. È il risalto idraulico, l’onda d’urto stazionaria che osserviamo al fondo delle cascate, in testa alle maree, allo sbocco delle traverse fluviali, ovunque si scontrino due correnti che scorrono a velocità diversa.

Il fenomeno aveva catturato la mente dei filosofi naturali ben prima di Leonardo da Vinci, ma soltanto nelle note di Leonardo sulla natura dell’acqua leggiamo le prime considerazioni dettagliate su come i liquidi si comportino a seconda della forma di flusso. Per Leonardo, comunque, il risalto idraulico era uno dei tanti frutti della natura intrinseca dell’acqua e, solo nei secoli successivi, Giovanni Battista Guglielmini (XVIII secolo) e Giorgio Bidone (XIX secolo) spiegarono la fisica del risalto, scrivendo le formule matematiche per caratterizzarlo e localizzarlo. E, da allora, gli italiani chiamano il risalto idraulico “salto di Bidone”, un’affettuosa bizzarria omografa che assilla non poco gli studenti.

Solo nel 1914 John Rayleigh – un fisico già famoso, premio Nobel e rettore di Cambridgediede una spiegazione teorica, basandosi sui concetti di gravità, inerzia e viscosità. A suo parere, la tensione superficiale giocherebbe “senza dubbio un ruolo considerevole a piccola scala, ma il suo effetto potrebbe essere minimizzato aumentando il flusso e, in tal modo, la profondità dell’acqua”. Dopo Lord Rayleigh, gli scienziati hanno sempre trascurato l’effetto della tensione superficiale, ritenendola ininfluente, a favore di modelli gravitazionali, inerziali e viscosi. E si sono azzuffati per anni se la gravità abbia davvero un ruolo così importante nel determinare l’altezza del risalto e, quindi, sia la causa prima dello strano muro d’acqua che aveva attirato l’attenzione di Leonardo.

Un nuovo studio dimostra invece che i predecessori avrebbero un po’ incautamente escluso l’influenza della tensione superficiale. “Dimostriamo che, al momento del risalto, la tensione superficiale e le forze viscose bilanciano la quantità di moto del film liquido; e la gravità non ha alcun ruolo significativo”, scrive Rajesh Kumar Bhagat, uno studente di dottorato di Cambridge già laureato a Bangalore in India, assieme ai suoi coautori. Poter ignorare l’effetto della gravità, concentrandosi sulla tensione superficiale, consente altri modi per controllare il risalto idraulico, per esempio aggiungendo tensioattivi. E, sfruttando questo comportamento, si potrebbero ridurre in modo drastico alcuni usi industriali dell’acqua.

Autori e commentatori sono fieri che l’umanità abbia superato la visione leonardesca. Se ben guardiamo, però, Leonardo non aveva escluso del tutto il ruolo della tensione superficiale in questo tipo di fenomeni, poiché nel Manoscritto F, foglio 71r, si era appuntato: “Le impressioni dei moti fatti dall’acqua infra l’acqua sono più permanenti che le impressioni che essa acqua fa infra l’aria, e questo accade perché l’acqua infra l’acqua non pesa, come ho già provato, ma soltanto pesa l’impeto con il quale muove essa acqua senza peso insino che esso impeto consuma”.

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