Vivere a L’Aquila, il racconto dello studente ‘nativo’ del sisma: “Ci si sente profughi, con la voglia di un futuro migliore”
“Si è sviluppato anche un senso politico tra i ragazzi in questi anni”. Tommaso Cotellessa è il combattivo rappresentante di istituto del liceo classico Cotugno dell’Aquila. Diciotto anni, penultimo anno di liceo e una storia esemplare della capacità di resilienza e visione dei giovani aquilani ‘nativi del terremoto’. Quella tragica notte Tommaso aveva 8 anni, dopo le prime scosse aveva cercato riparo tra le coperte dei suoi genitori. Si è salvato assieme a tutta la sua famiglia. Tanti ragazzi che oggi avrebbero la sua età oggi non ci sono più, e chi è rimasto ne sente tutta la responsabilità. “È vero, L’Aquila non sarà più la stessa, ed è per questo motivo che molti hanno deciso di andarsene. Ma per chi è cresciuto tra le macerie è diverso, è una questione di appartenenza e comunità. Paradossalmente la sfiducia totale nelle istituzioni ha prodotto in molti di noi ‘nativi’ del terremoto a una maggiore voglia di fare politica, intesa come impegno per la comunità: non vogliamo perdere l’occasione di contribuire alla rinascita di una città migliore”. Dopo anni in giro tra soluzioni abitative temporanee, Tommaso è tornato nella sua casa: “A crescere così ci si sente come profughi, e con loro si condivide la sensazione di essere ‘ultimi’, ma anche la stessa ‘fame’ di un futuro migliore”. Crescere maturando la capacità di adattamento sembra aver reso immuni questi ragazzi dalla propaganda: “Abbiamo capito il vero senso della politica osservando proprio le lacune istituzionali: chi resta indietro deve mettersi assieme e rimboccarsi le maniche, ed è quello che in tanti vogliamo fare per ricostruire il tessuto sociale della città, rimasto sepolto sotto le macerie”.
(Immagini d’archivio: Diodato Salvatore)