Per il secondo gasdotto in arrivo nel Salento si fa sul serio. La società franco-ellenica Igi Poseidon sta completando le procedure di esproprio dei terreni che saranno attraversati dal metanodotto, nel comune di Otranto, venti chilometri a sud rispetto a Melendugno, in provincia di Lecce, dove è già in costruzione la contestata Tap. Gli ufficiali giudiziari sono pronti a notificare a 36 proprietari gli avvisi, che riportano il carattere di urgenza, per l’immissione in possesso dei terreni, dando così esecuzione al decreto di asservimento e occupazione temporanea pubblicato in Gazzetta Ufficiale il 5 giugno dello scorso anno.
Si tratta degli ultimi proprietari con i quali non è stato ancora raggiunto un accordo bonario, già firmato, invece, dal restante 99 per cento degli interessati. Dopo quest’ultimo passaggio, la società, formata dal colosso francese Edison e dalla società greca Depa, potrebbe avviare i lavori. E, anzi, dovrebbe farlo entro il prossimo 6 giugno, almeno stando alla proroga concessa dal ministero dello Sviluppo Economico il 24 maggio 2016. Il cantiere dovrebbe durare tre anni, fino al massimo al 6 giugno 2021. Al momento, non è dato sapere se la multinazionale deciderà di chiedere un ulteriore rinvio. Ciò che è certo, però, è che c’è tutta l’intenzione di spingere sull’acceleratore. E per almeno due motivi: le autorizzazioni incassate nel 2011 sono in scadenza; la spaccatura, anche su questo, nel governo consiglia alla società di far presto.
È una partita politica non da poco quella sul più ampio gasdotto East Med, di cui Igi Poseidon costituisce l’ultimo tratto, dalla Grecia all’Italia, per connettere all’Europa una infrastruttura che parte dai giacimenti di gas del Mediterraneo orientale e prosegue il suo corso verso il continente. Il 20 dicembre scorso, Israele, Cipro e Grecia hanno già raggiunto l’intesa intergovernativa nell’ambito della quinta riunione trilaterale. La firma dell’accordo anche con l’Italia era attesa nel corso del primo trimestre di quest’anno. Si prende tempo. È questione spinosa, soprattutto ora, con le elezioni europee alle porte. E lo è per il M5s, che aveva promesso lo stop a Tap e ora rischia di trovarsi con l’avvio del secondo gasdotto nello stesso territorio, il Salento. È indubbiamente quella leccese, infatti, una di quelle province in cui più peserà il risultato delle urne, dopo l’exploit pentastellato alle Politiche 2018 e le dure contestazioni al Movimento, che lì esprime una ministra, Barbara Lezzi, al timone del dicastero per il Sud.
Ecco perché, almeno sul fronte politico, si è azionato il freno a mano. In occasione della riunione dei 28 ministri dell’Energia a Bruxelles, agli inizi di marzo, il quotidiano La Stampa ha raccolto la dichiarazione di un diplomatico di uno dei Paesi coinvolti: “La nostra impressione – ha riferito – è che ci siano ragioni elettorali dietro questo stop e non un ripensamento sul merito. Ma non sappiamo ancora se dopo le elezioni qualcosa si sbloccherà”. Da Roma non sono giunte né conferme né smentite. A parlare apertamente, però, era già stato il vicepremier leghista Matteo Salvini, nella sua visita in Israele agli inizi di dicembre: “Credo in questo progetto – ha detto – e invito le aziende italiane a partecipare. Non c’è alcun impatto di tipo ambientale. Avere maggiori forniture di gas aiuta a ridurre il costo della bolletta per gli italiani”.
Di fronte alle incertezze della politica, la multinazionale gioca le sue carte: per gli inizi di maggio ha già programmato i sopralluoghi con i proprietari per l’entrata in possesso delle particelle su cui è previsto il passaggio del gasdotto. Finora, Igi Poseidon è rimasta ferma per un motivo: ambiva all’oro blu dell’Azerbaijan, perdendo però la partita del corridoio sud del gas vinta da Tap, pur avendo ottenuto molto prima l’ok al progetto. Dunque, ha dovuto cercare altri giacimenti e la partita si è riaperta solo negli ultimi anni, con la scoperta di quelli al largo di Tel Aviv e delle coste cipriote.
Il nuovo gasdotto avrà una capacità che oscilla tra gli 8 e i 12 miliardi di metri cubi all’anno di gas, simile a Tap, che ha una portata di 10 miliardi ma prevede il raddoppio a 20 nella seconda fase. Dopo aver percorso il mar Ionio, il tubo approderà nei pressi del porto di Otranto, sulla soglia del parco regionale costiero che da lì si snoda fino a Santa Maria di Leuca. Il tratto a terra è lungo 2 chilometri, fino alla stazione di misura che sorgerà all’interno di un’area di 3 ettari nell’entroterra, un’ex discarica. Dopodiché, il tracciato affiancherà quello del cavidotto Terna e non dovrebbe prevedere la movimentazione di ulivi.
Sotto il profilo tecnico, però, non sarà una passeggiata, per quanto, stavolta, questa società non abbia incontrato l’ostilità dell’amministrazione comunale, come invece accaduto per Tap. Tuttavia, Igi Poseidon ha ottenuto l’Autorizzazione unica nel 2011 e ha incassato la Valutazione di impatto ambientale nell’agosto 2010. Sono passati molti più dei cinque anni di validità concessi da quelle patenti che, tra l’altro, hanno previsto l’ottemperanza a prescrizioni molto stringenti. Ma ad oggi, come confermato dalla società, “Igi Poseidon non è a conoscenza né ha ricevuto alcuna comunicazione in merito alla possibile riapertura della Via da parte del governo”, per cui, a suo avviso, “rimangono valide le autorizzazioni ad oggi in essere e che scadono nel 2019”.
Ambiente & Veleni
Gasdotto EastMed, la società va avanti: pronte procedure di esproprio dei terreni in Salento. Poi partiranno i sopralluoghi
La società franco-ellenica Igi Poseidon sta completando le procedure di esproprio dei terreni che saranno attraversati dal metanodotto, nel comune di Otranto, venti chilometri a sud rispetto a Melendugno, in provincia di Lecce, dove è già in costruzione la contestata Tap. Igi Poseidon accelera: in scadenza le autorizzazioni e spaccatura nel governo. L'Italia non ha ancora firmato l'intesa con Israele, Cipro e Grecia, ma da dicembre c'è l'endorsement di Salvini: "Credo in questo progetto"
Per il secondo gasdotto in arrivo nel Salento si fa sul serio. La società franco-ellenica Igi Poseidon sta completando le procedure di esproprio dei terreni che saranno attraversati dal metanodotto, nel comune di Otranto, venti chilometri a sud rispetto a Melendugno, in provincia di Lecce, dove è già in costruzione la contestata Tap. Gli ufficiali giudiziari sono pronti a notificare a 36 proprietari gli avvisi, che riportano il carattere di urgenza, per l’immissione in possesso dei terreni, dando così esecuzione al decreto di asservimento e occupazione temporanea pubblicato in Gazzetta Ufficiale il 5 giugno dello scorso anno.
Si tratta degli ultimi proprietari con i quali non è stato ancora raggiunto un accordo bonario, già firmato, invece, dal restante 99 per cento degli interessati. Dopo quest’ultimo passaggio, la società, formata dal colosso francese Edison e dalla società greca Depa, potrebbe avviare i lavori. E, anzi, dovrebbe farlo entro il prossimo 6 giugno, almeno stando alla proroga concessa dal ministero dello Sviluppo Economico il 24 maggio 2016. Il cantiere dovrebbe durare tre anni, fino al massimo al 6 giugno 2021. Al momento, non è dato sapere se la multinazionale deciderà di chiedere un ulteriore rinvio. Ciò che è certo, però, è che c’è tutta l’intenzione di spingere sull’acceleratore. E per almeno due motivi: le autorizzazioni incassate nel 2011 sono in scadenza; la spaccatura, anche su questo, nel governo consiglia alla società di far presto.
È una partita politica non da poco quella sul più ampio gasdotto East Med, di cui Igi Poseidon costituisce l’ultimo tratto, dalla Grecia all’Italia, per connettere all’Europa una infrastruttura che parte dai giacimenti di gas del Mediterraneo orientale e prosegue il suo corso verso il continente. Il 20 dicembre scorso, Israele, Cipro e Grecia hanno già raggiunto l’intesa intergovernativa nell’ambito della quinta riunione trilaterale. La firma dell’accordo anche con l’Italia era attesa nel corso del primo trimestre di quest’anno. Si prende tempo. È questione spinosa, soprattutto ora, con le elezioni europee alle porte. E lo è per il M5s, che aveva promesso lo stop a Tap e ora rischia di trovarsi con l’avvio del secondo gasdotto nello stesso territorio, il Salento. È indubbiamente quella leccese, infatti, una di quelle province in cui più peserà il risultato delle urne, dopo l’exploit pentastellato alle Politiche 2018 e le dure contestazioni al Movimento, che lì esprime una ministra, Barbara Lezzi, al timone del dicastero per il Sud.
Ecco perché, almeno sul fronte politico, si è azionato il freno a mano. In occasione della riunione dei 28 ministri dell’Energia a Bruxelles, agli inizi di marzo, il quotidiano La Stampa ha raccolto la dichiarazione di un diplomatico di uno dei Paesi coinvolti: “La nostra impressione – ha riferito – è che ci siano ragioni elettorali dietro questo stop e non un ripensamento sul merito. Ma non sappiamo ancora se dopo le elezioni qualcosa si sbloccherà”. Da Roma non sono giunte né conferme né smentite. A parlare apertamente, però, era già stato il vicepremier leghista Matteo Salvini, nella sua visita in Israele agli inizi di dicembre: “Credo in questo progetto – ha detto – e invito le aziende italiane a partecipare. Non c’è alcun impatto di tipo ambientale. Avere maggiori forniture di gas aiuta a ridurre il costo della bolletta per gli italiani”.
Di fronte alle incertezze della politica, la multinazionale gioca le sue carte: per gli inizi di maggio ha già programmato i sopralluoghi con i proprietari per l’entrata in possesso delle particelle su cui è previsto il passaggio del gasdotto. Finora, Igi Poseidon è rimasta ferma per un motivo: ambiva all’oro blu dell’Azerbaijan, perdendo però la partita del corridoio sud del gas vinta da Tap, pur avendo ottenuto molto prima l’ok al progetto. Dunque, ha dovuto cercare altri giacimenti e la partita si è riaperta solo negli ultimi anni, con la scoperta di quelli al largo di Tel Aviv e delle coste cipriote.
Il nuovo gasdotto avrà una capacità che oscilla tra gli 8 e i 12 miliardi di metri cubi all’anno di gas, simile a Tap, che ha una portata di 10 miliardi ma prevede il raddoppio a 20 nella seconda fase. Dopo aver percorso il mar Ionio, il tubo approderà nei pressi del porto di Otranto, sulla soglia del parco regionale costiero che da lì si snoda fino a Santa Maria di Leuca. Il tratto a terra è lungo 2 chilometri, fino alla stazione di misura che sorgerà all’interno di un’area di 3 ettari nell’entroterra, un’ex discarica. Dopodiché, il tracciato affiancherà quello del cavidotto Terna e non dovrebbe prevedere la movimentazione di ulivi.
Sotto il profilo tecnico, però, non sarà una passeggiata, per quanto, stavolta, questa società non abbia incontrato l’ostilità dell’amministrazione comunale, come invece accaduto per Tap. Tuttavia, Igi Poseidon ha ottenuto l’Autorizzazione unica nel 2011 e ha incassato la Valutazione di impatto ambientale nell’agosto 2010. Sono passati molti più dei cinque anni di validità concessi da quelle patenti che, tra l’altro, hanno previsto l’ottemperanza a prescrizioni molto stringenti. Ma ad oggi, come confermato dalla società, “Igi Poseidon non è a conoscenza né ha ricevuto alcuna comunicazione in merito alla possibile riapertura della Via da parte del governo”, per cui, a suo avviso, “rimangono valide le autorizzazioni ad oggi in essere e che scadono nel 2019”.
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Il Cairo, 4 mar. (Adnkronos) - I leader arabi concordano di istituire un fondo fiduciario per finanziare la ricostruzione della Striscia di Gaza, devastata dalla guerra, sollecitando il contributo internazionale per accelerare il processo di ricostruzione. Secondo il comunicato finale del vertice della Lega araba al Cairo, visionato dall'Afp, il fondo "riceverà impegni finanziari da tutti i paesi donatori e dalle istituzioni finanziarie" per realizzare progetti di ricostruzione nel territorio.
Tel Aviv, 4 mar. (Adnkronos) - Il Ministero degli Esteri israeliano afferma che la dichiarazione del vertice arabo tenutosi al Cairo per discutere della ricostruzione di Gaza non ha affrontato la realtà della situazione successiva al massacro perpetrato da Hamas il 7 ottobre 2023. "È degno di nota che il feroce attacco terroristico di Hamas non venga menzionato e che non vi sia nemmeno una condanna di questa entità terroristica omicida, nonostante le atrocità documentate", afferma la dichiarazione.
il ministero elogia invece il piano del presidente degli Stati Uniti Donald Trump di trasferire i cittadini di Gaza, sostenendo — nonostante Trump parli di trasferire tutta la popolazione della Striscia — che in base a questo, "c'è un'opportunità per i cittadini di Gaza di scegliere liberamente. Questo deve essere incoraggiato".
Sana'a, 4 mar. (Adnkronos) - Gli Houthi hanno abbattuto un drone statunitense nei cieli della città portuale di Hodeidah nello Yemen. Lo ha dichiarato portavoce del gruppo, Yahya Saree, in un post su Telegram.
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Il Cairo, 4 mar. (Adnkronos) - Il vertice arabo convocato al Cairo ha adottato un piano egiziano per la ricostruzione di Gaza. Lo ha affermato il presidente egiziano Abdel-Fattah al-Sisi in una dichiarazione conclusiva. Il piano mira a contrastare le proposte del presidente degli Stati Uniti Donald Trump per una "Riviera mediorientale" con un piano per ricostruire la Striscia devastata senza sfollare la sua popolazione.
Parigi, 4 mar. (Adnkronos/Afp) - Il presidente francese Emmanuel Macron ha accolto con favore la volontà del suo omologo ucraino Volodymyr Zelensky “di riprendere il dialogo con gli Stati Uniti d'America”, secondo quanto riferito dall'Eliseo.
Il capo di Stato “ha ribadito la determinazione della Francia a lavorare con tutte le parti interessate per attuare una pace solida e duratura in Ucraina”, ha dichiarato la presidenza.
Roma, 4 mar. (Adnkronos) - Elly Schlein è netta sul piano lanciato oggi da Ursula Von der Leyen. "Noi non ci stiamo", la posizione della segretaria del Pd. Una linea che, pur con sfumature diverse, trova d'accordo anche l'area riformista dem. Servono "modifiche", dice Lorenzo Guerini. In particolare, a mettere tutti d'accordo è la bocciatura della proposta della presidente della Commissione Ue sulla possibilità di dirottare i fondi di Coesione sulle spese per la difesa. E non solo. Anche la deroga al patto di Stabilità da parte dei singoli Stati, fuori da regia e investimenti comuni sulla difesa, è giudicata un errore trasversalmente tra i dem.
Schlein ha già annunciato che porterà la posizione del Pd alla riunione dei Socialisti e Democratici giovedì mattina a Bruxelles, il pre-vertice che precede il Consiglio europeo straordinario. In vista dell'appuntamento Schlein oggi ha sentito il premier spagnolo Pedro Sanchez. "Una lunga conversazione sullo scenario internazionale e la complicata situazione mondiale", fanno sapere fonti dem. Quella del Pd è la delegazione più numerosa nella famiglia socialista europea. Senza l'ok dei socialisti il piano Von der Leyen traballa. "È il momento delle scelte e della chiarezza. Abbiamo bisogno di una risposta all'altezza della sfida globale - strategica, economica, politica - al ruolo dell'Europa nel mondo. E questa risposta non è quella presentata oggi", rimarca Schlein.
Negli equilibri interni al Pd, la sollecitazione dei riformisti è quella di lavorare per modificare il piano Von der Leyen, "aiutare ad andare nella direzione giusta" ed evitare che ci si arrocchi in un "no a tutti i costi". L'importante, si spiega, "è non mettere in discussione la necessità dell'aumento di risorse per la difesa europea". Per Guerini si tratta di un'esigenza "ineludibile". Quindi la sollecitazione del presidente del Copasir: "Ora bisogna mettersi al lavoro, innanzitutto all’interno del Pse, per confermare in maniera convinta il nostro impegno per maggiori investimenti e capacità militari europee provando a dare un indirizzo più coerente agli strumenti per farlo".
Per Schlein "quella presentata oggi da Von Der Leyen non è la strada che serve all’Europa. All’Unione europea serve la difesa comune, non il riarmo nazionale. Sono due cose molto diverse". Anche il titolo 'Rearm' ha fatto sobbalzare più di uno e anche la segretaria lo mette in evidenza. "Il piano Von Der Leyen, a partire dal titolo, punta sul riarmo e non emerge un indirizzo politico chiaro verso la difesa comune".
Quindi elenca i nodi: "Indica una serie di strumenti che agevolerebbero la spesa nazionale ma senza porre condizioni sui progetti comuni, sull’interoperabilità dei sistemi. Ci sono molti aspetti da chiarire, ad esempio su come funzionerebbe il nuovo meccanismo in stile Sure, per capire se finanzia progetti comuni o spesa nazionale. Ma questa -avverte- non è la strada giusta. Manca ancora la volontà politica dei governi di fare davvero una difesa comune e in questo piano della Commissione mancano gli investimenti europei finanziati dal debito comune, come durante la pandemia. Così rischia di diventare il mero riarmo nazionale di 27 paesi e noi non ci stiamo".
"Noi -insiste- abbiamo un’idea precisa. Quello che serve oggi è un grande piano di investimenti comuni per l’autonomia strategica dell’Ue, che è insieme cooperazione industriale, coesione sociale, transizione ambientale e digitale, sicurezza energetica e anche difesa comune. Anche, ma non solo! Magari cancellando le altre cruciali priorità su cui i governi sono più divisi. È irrinunciabile contrastare le diseguaglianze che sono aumentate. Per questo è inaccettabile utilizzare i fondi di coesione per finanziare le spese militari nazionali".
Punti critici che vengono rilevati anche dai riformisti. Per Guerini "la proposta Von der Leyen definisce giustamente l’obiettivo in termini di risorse", ma "così come è stata prospettata necessita di essere modificata: è sbagliato l’utilizzo dei fondi di coesione e c’è poco coraggio a sostenere un vero salto in senso europeo delle spese per la difesa". Avverte Alessandro Alfieri: gli strumenti "che mettiamo in campo devono portare ad una maggiore integrazione delle principali aziende della difesa europea. In questo senso, se non vengono messe condizionalità alle deroghe al patto di stabilità, l’aumento dei bilanci dei singoli Paesi verrà speso prevalentemente su mercati extra Ue, da cui oggi dipendiamo per l’80%. Aumentando la dipendenza strategica dagli Usa anziché diminuirla".
Per il coordinatore della minoranza dem, il Pd non dovrà far "mancare il proprio contributo in tutte le sedi così come spiegheremo che serve una narrazione diversa che convinca le opinioni pubbliche europee a sostenere la sfida ineludibile della costruzione della difesa europea. Magari chiamando questa sfida Protect Europe invece di Rearm. Perché anche il linguaggio ha la sua importanza...”.
Interviene anche Giorgio Gori a sollevare criticità: sarebbe "un errore - ritengo, da parte della Commissione Europea - autorizzare maggiori spese per la difesa dei singoli Stati membri, in deroga al patto di stabilità, fuori da una comune regia. Ciò finirebbe per approfondire la frammentazione, senza apprezzabili benefici per la sicurezza comune. La deroga dal patto dovrebbe invece essere autorizzata solo per gli investimenti comuni: così si porrebbero le condizioni per l'avvio di un vero sistema di difesa europeo". E poi "ugualmente discutibile appare poi la contrapposizione tra spesa per la difesa e spesa sociale, suggerita dalla facoltà per gli Stati membri di attingere ai fondi per la coesione". Intanto questa mattina la vicepresidente del Parlamento Ue, Pina Picierno ha lanciato un appello via social per un'Europa 'Libera e forte' in 5 punti, difesa comune compresa. Oltre duemila, finora, le adesioni.