Minori utilizzati come pusher vicino alle scuole. Piazze di spaccio che fruttavano migliaia di euro al giorno. Mamme che hanno collaborato con i carabinieri per salvare i figli tossicodipendenti. Droga che entrava in carcere nascosta in bocca dalle mogli dei detenuti. Spacciatori armati che si muovevano con il colpo in canna per essere pronti a sparare in qualsiasi momento. C’è tutto questo nell’operazione “Alarico”, condotta dai carabinieri che hanno stroncato lo smercio di fiumi di droga a Cosenza. Il gip presso il Tribunale di Cosenza e il Tribunale dei Minorenni di Catanzaro ha emesso 57 ordinanze di custodia cautelare (21 in carcere, 26 agli arresti domiciliari e 10 all’obbligo di presentazione). Di questi tre soggetti sono minori.
Detenzione e cessione di sostanze stupefacenti, estorsione continuata, detenzione illegale di armi, ricettazione, furto in abitazione, spendita ed introduzione nello Stato di monete falsificate, rapina aggravata e violazione degli obblighi della sorveglianza: sono solo alcune delle accuse contestate dal procuratore Mario Spagnuolo e dal procuratore dei minori Alessandra Ruberto ai 57 indagati nell’inchiesta iniziata nel settembre 2016 con l’arresto in flagranza di reato di una persona trovata con quasi due chili di marijuana. Droga da quale, una volta confezionata, si potevano ricavare 6850 dosi che avrebbero fruttato allo spacciatore oltre 40mila euro.
Partendo da quell’arresto, i carabinieri sono riusciti a ricostruire una fitta rete di pusher in grado di soddisfare ogni richieste dei tossicodipendenti. Marijuana ma anche cocaina ed eroina che, a qualsiasi orario, venivano spacciate nel centro storico di Cosenza, in altre piazze centrali della città e nei paesi vicini. Le telecamere piazzate dalla Procura hanno immortalato lo scambio di dosi e di denaro. Addirittura 226 sono stati i tossicodipendenti (di cui 30 minori) identificati dai carabinieri. Interrogati non hanno potuto fare altro che ammettere di aver acquistato droga confermando le modalità di spaccio, i luoghi e i prezzi praticati a Cosenza per una dosa di stupefacente.
Fondamentale è stato l’aiuto fornito da diverse madri che si sono rivolte ai carabinieri della stazione di Cosenza per “per fronteggiare – scrivono gli inquirenti – il grave problema della tossicodipendenza dei figli ed al fine di recidere i pericolosi legami da questi ultimi intrattenuti con pericolosi pregiudicati per il procacciamento quotidiano dello stupefacente. Vere e proprie ‘mamme coraggio’ che hanno deciso di collaborare con gli inquirenti pur di salvare dalla tossicodipendenza i figli, nella speranza di poter garantire loro ed a tanti altri assuntori un futuro migliore, lontano da contesti criminali”.
Una mamma di un giovanissimo tossicodipendente, in particolare, ha reso dichiarazioni che sono servite per risalire ad alcuni indagati che, per non essere beccati, utilizzavano minori non solo per il trasporto e il confezionamento della droga ma anche per il procacciamento dei clienti e lo smercio delle cosiddette “dosi di strada”. I tre minori sono stati protagonisti di 34 episodi di cessione di stupefacente e uno di loro, in occasione di una perquisizione subita assieme a due complici maggiorenni, è stato trovato in possesso di cinque dosi di hashish nascoste all’interno degli slip.
L’inchiesta “Alarico” ha dimostrato come la droga entrava pure in carcere. Grazie alla collaborazione di mogli e conviventi, infatti, lo stupefacente veniva nascosto in bocca, avvolto in una pellicola, e durante i colloqui passato con un bacio ai familiari detenuti. Questo stratagemma è emerso anche da alcune intercettazioni in cui uno degli indagati ha descritto ai suoi familiari la tecnica utilizzata da un altro detenuto per ricevere quantitativi di droga che poi veniva ceduta all’interno della casa circondariale in cambio di pacchetti di sigarette. L’operazione della Procura di Cosenza, inoltre, ha fatto luce su alcune rapine e furti in appartamento. Ha svelato anche la disponibilità di fucili e pistole. Una di queste, stando al alcune intercettazioni, “avrebbe dovuto essere utilizzata per commettere un agguato”.
I carabinieri, infine, hanno accertato come sei indagati avevano messo in circolo banconote contraffatte di tagli dai 10 ai 100 euro. “Andavamo a Napoli – dice uno di loro in un’intercettazione – ho preso 7.000 euro falsi e gli ho dato 350 euro”. Per i carabinieri, i malviventi cosentini si sono costantemente riforniti di banconote contraffatte a Napoli. Denaro falso che poi veniva speso negli esercizi commerciali sulla costa tirrenica, tra Paola, San Lucido, Belvedere e Diamante.
“Questa – ha affermato a margine della conferenza il procuratore Mario Spagnuolo – è l’indagine più importante in materia di cessione di sostanze stupefacenti. A Cosenza e nel suo hinterland, la droga non è soltanto un problema di repressione penale. È un problema sociale che investe tutta la comunità. Giovanissimi spacciatori e madri esasperate che non reggono più la situazione e vengono a denunciare. È una generazione di ragazzi che rischia. L’intervento del giudice penale è solo parziale”.