Da un lato i ricchi ammortizzatori sociali garantiti ad Alitalia, azienda improduttiva e sussidiata da oltre dieci anni con le tasse dei contribuenti italiani, dall’altro la cassa integrazione ridotta e sospesa per mesi per le imprese metalmeccaniche in condizione di crisi, ma con ragionevoli prospettive di ripresa. È questa la linea tenuta fin qui dal governo: il ministro del Lavoro e dello Sviluppo Luigi Di Maio, infatti, ha firmato solo tre giorni fa il decreto che sblocca i 117 milioni destinati agli ammortizzatori sociali per le aziende in crisi di ben 18 aree produttive, dopo aver lasciato senza stipendio per sei mesi 60mila operai. Per ricevere il loro magro assegno – tra i 500 e i 1.000 euro al mese – i dipendenti devono però pazientare ancora, in attesa del via libera del ministero dell’Economia. Gli assegni sono 10 volte superiori a quelli (quando ci sono) degli addetti di Alitalia. Una iniquità inaccettabile.
Nel frattempo, però, ai 13mila addetti del trasporto aereo – prevalentemente di Alitalia – sono garantiti ogni anno mediamente 140 milioni, con alcuni assegni che raggiungono anche i 10mila euro mensili. Risorse che anche quest’anno sono state garantite nel decreto legge in materia di reddito di cittadinanza e pensioni. Una incredibile corsia preferenziale che discrimina gli altri settori produttivi forse perché meno corporativi e meno visibili politicamente. Non solo ma dal 2004 è stato istituito un fondo chiamato Festa.
Il fondo è anche alimentato da una tassa d’imbarco di 5 euro da applicare sul costo del biglietto per ogni passeggero in partenza da uno scalo nazionale. Un trattamento di privilegio non giustificato dai risultati, visto che in Alitalia la Cig dura ormai da 10 anni senza alcuna prospettiva concreta di risanamento: anzi, la perdurante crisi del vettore “di bandiera” ha trascinato con sé molte società del settore aereo e aeroportuale. Secondo Assaeroporti (che raggruppa tutte le imprese del settore) l’Italia ha guadagnato 35 milioni di passeggeri in 15 anni passando 150 milioni di passeggeri del 2003 ai 185 del 2018. Resta, infatti, inspiegabile come il comparto cresca per numero di passeggeri da anni mentre da anni si aggrava la sua crisi che coinvolge compagnie aeree (Alitalia), dei concessionari aeroportuali (uno chiude i bilanci in utile pagando gli addetti con la cassa integrazione, è il caso della SEA) e delle società di handling.
Non esistono lavoratori di serie A e di serie B: il governo dovrebbe impegnarsi a porre fine ai trattamenti iniqui e a garantire sussidi certi – e non a singhiozzo – alle aziende in crisi di altri settori produttivi, che in molti casi hanno dimostrato, a differenza di Alitalia, di riuscire a risollevarsi e tornare competitive.