Diritti

Case famiglia, giusto punire gli abusi ma l’istituzione non va messa in discussione (come dice Salvini)

Chi scrive ha raccolto tempo fa il racconto di una persona incaricata dalle istituzioni di una ricca ed evoluta regione del nord di stilare una mappatura delle case famiglia presenti sul territorio. L’incarico le aveva conferito la possibilità di visitare le strutture senza appuntamento e, quindi, poter riscontrare le effettive condizioni quotidiane.

Accanto a strutture decisamente virtuose, ne scoprì altre ai confini della realtà: una risultava coincidere con un centro ufologico; un’altra era all’interno di un cimitero. Altre ancora erano ineccepibili sotto il profilo strutturale, ma i minori ospiti entravano e uscivano a piacimento senza alcuna vigilanza.

Ve ne erano poi di istituite appositamente per poter ristrutturare immobili di famiglia utilizzando i fondi pubblici che venivano incassati mensilmente. Sì, perché se alcune case famiglia ricevono contributi di poche decine di euro al giorno per ogni minore ospitato, altre hanno rette da hotel a cinque stelle, malgrado le prestazioni psicologiche, mediche e di altro tipo siano anch’esse a carico dell’ente pubblicoTanti soldi, che poiché dipendono dal numero di bambini accolti, facilmente possono innescare un sistema di profitto che vada ben oltre gli interessi dei minori che davvero ne abbiano necessità.

La storia non è nuova, anzi. Da tempo è nota e denunciata, con episodi  sconcertanti come il coinvolgimento nella gestione delle case famiglia e nel relativo guadagno di giudici onorari di tribunali minorili, cioè quelli stessi che decidono quali e quanti  bambini togliere all’ambiente famigliare.

Ora il ministro Matteo Salvini ha annunciato la proposta di costituire una commissione parlamentare d’inchiesta sulla questione, per far luce sugli abusi. Un interessamento da parte della politica e delle istituzioni nazionali, atteso da tempo. Tuttavia, proprio perché si tratta di un tema grave e urgente, val la pena di prestare qualche attenzione.

Innanzitutto va detto che vanno messi in discussione – appunto – solo gli abusi, non l’istituzione della casa famiglia in sé. Vi sono frequenti casi di minori che solo se posti un una condizione neutra al di fuori dai rapporti famigliari e anche da surrogati come affidi, posso trovare un punto di equilibrio.

Se è vero che la soluzione dell’affido temporaneo costituisce quella che potremmo chiamare una simulazione della condizione famigliare, è anche vero che la legge prevede e suggerisce che tra genitori affidatari e famiglia d’origine venga mantenuto un rapporto: una cosa sana in situazioni nella quali ognuno si attiene scrupolosamente ai confini imposti, ma facilmente travalicabile, anche in buona fede, con – di fatto – una continuità di frequentazione e di rapporti che in casi di conflitti famigliari o carenze importanti lascia il bambino in una palude.

Va detto poi che il meccanismo che alla sua fine apre al minore le porte della casa famiglia – a parte casi eclatanti di giudici onorari compromessi – ha come sua principale attore la figura dell’assistente sociale.

Ho personalmente potuto verificare come la relazione stilata dall’assistente sociale si consideri vero Vangelo per il giudice deputato a decidere, anche perché non esistono altri strumenti. Al massimo può essere istruita una perizia – la cosiddetta CTU – in genere lunga, faticosa, a volte traumatica durante la quale – comunque – in minore viene già – nella maggior parte dei casi – collocato in una struttura. Dove forse poi rimarrà.

Anche su questo tema va fatta molta attenzione. La figura della’assistente sociale è di per sé indispensabile e importante, ma nel momento stesso in cui diventa “categoria”, quindi corporazione si presta alla difesa ad oltranza dei non pochi casi discutibili. Non si ricordano casi di assistenti sociali sanzionati o sospesi degli organismi di disciplina del loro ordine professionale.

Ho personalmente assistito a colloqui tra genitori che si erano visti sottrarre i figli con modalità sconcertanti, assistenti sociali e loro responsabili gerarchici, nei quali veniva esplicitamente detto – nel caso specifico a una madre – che se  questa “non avesse fatto tanto casino, alla cosa si sarebbe potuto rimediare”. Non credo sia necessario commentare una frase simile, evidentemente giustificata dalla consapevolezza di avere mani totalmente libere nel fare e disfare.

Anche in sede delle famigerate perizie – poi – si possono giocare  rapporti di potere che nulla hanno a che vedere con la trasparenza e non è estraneo il ruolo del denaro, visto che tra periti nominati dal tribunale e necessari periti di parte, per ogni caso si parla di migliaia di euro.

Si potrebbe proseguire, ma quel che si è detto è sufficiente per descrivere un meccanismo che non può essere liquidato con una commissione d’inchiesta “sulle case famiglia”.

Meglio che niente, si dirà. Ma in questi casi il meglio è solo il tutto, cioè l’affrontare e riformare un intero sistema, intricato e vecchio. Il rischio non è solo di interessarsi della classica punta dell’iceberg, ma anche di trovarsi davanti a una facile e poco utile operazione politica che per propaganda si accontenti di dare in pasto all’opinione pubblica il “mostro” in odore di corruzione, di speculazione, magari assimilabile alle ormai famigerate cooperative. Dimenticandosi che l’obiettivo non può e non deve essere una ristabilita “morale di Stato”, ma il futuro di decine di migliaia di bambini.