Tre le principali novità della nuova legge: ampliamento della platea dei soggetti che possono esercitare l'azione inibitoria, estensione della tutela dalle responsabilità contrattuali a quelle extracontrattuali e possibilità di aderire all'azione anche successivamente alla sentenza. Confindustria contraria. Adusbef, Codacons e Movimento consumatori protestano: si sentono spogliate del loro ruolo
Arriva la nuova class action che promette di dare più voce ai cittadini danneggiati da imprese, da enti gestori di servizi pubblici o di pubblica utilità. Il Senato ha infatti licenziato in via definitiva il testo della nuova azione collettiva con tre grandi novità: l’ampliamento della platea dei soggetti che possono esercitare la class action e l’azione inibitoria, l’estensione della tutela dalle responsabilità contrattuali a quelle extracontrattuali ed infine la possibilità di aderire all’azione anche successivamente alla sentenza.
Nel dettaglio, la riforma segna il passaggio della class action dal Codice del consumo al Codice di procedura civile. In pratica, fino ad oggi l’azione collettiva e quella inibitoria contro pratiche commerciali illegittime erano riservate alle associazioni dei consumatori che sono rappresentate nel Consiglio nazionale dei consumatori e degli utenti (Cncu) presso il ministero dello sviluppo economico. D’ora in poi, invece, chiunque invece potrà intentare un’azione collettiva o inibitoria. A patto naturalmente di aver subito una lesione di “diritti individuali omogenei”.
Oltre all’ampliamento della platea, il nuovo testo prevede poi che il ricorso sia presentato “esclusivamente davanti alla sezione specializzata in materia di impresa competente per il luogo ove ha sede la parte resistente” come si legge nel testo. Documento che sancisce la tutela del danneggiato sia nel caso di ipotesi di responsabilità contrattuale che extracontrattuale, fino ad oggi limitata soltanto ai comportamenti anticoncorrenziali e alle pratiche commerciali scorrette.
Per assicurare massima diffusione alla procedura, secondo quanto stabilito dal legislatore, il ricorso, assieme al decreto di fissazione dell’udienza, verrà pubblicato dalla cancelleria, entro dieci giorni dal deposito del decreto, nell’area pubblica del portale gestito dal Ministero della giustizia. Il giudice dovrà poi valutare l’ammissibilità della domanda nel giro di 30 giorni. In caso di esito positivo, l’ordinanza verrà pubblicata sempre sul portale del ministero dove poi verrà reso noto anche il giudizio. Nel caso opposto, il ricorrente avrà 30 giorni di tempo dalla notifica per effettuare un reclamo davanti alla Corte d’appello.
Se l’istanza è ritenuta ammissibile, la class action seguirà “il rito sommario di cognizione di cui agli articoli 702- bis e seguenti ed è definito con sentenza, resa nel termine di trenta giorni successivi alla discussione orale della causa”, prosegue il documento. Durante il giudizio si potrà aderire alla class action via web. Ma la novità è che il danneggiato potrà presentare la domanda anche dopo che il magistrato abbia già accertato la condotta illecita dell’azienda o del gestore. Soluzione, quest’ultima, che secondo Confindustria, sarebbe “punitiva” per le imprese che, se giudicate responsabili, dovranno non solo risarcire il rappresentante comune degli aderenti alla class action, ma anche il loro difensore. Il compenso di quest’ultimo sarà quindi una somma che si aggiungerà a quella da pagare ai danneggiati e sarà calcolata in percentuale dell’importo complessivo della condanna, calcolata in base ad una serie di variabili. Ma il giudice potrà anche variare le somme destinate ai legali in funzione della complessità dell’incarico.
Con questo provvedimento cambia completamente la class action, ma la nuova legge non convince le associazioni dei consumatori che si sentono spogliate del loro ruolo sociale, lamentano il rischio di una scarsa efficacia dovuta al moltiplicarsi delle cause e chiedono all’unisono correttivi in corso d’opera. “Questa class action copia male il modello americano, un meccanismo rodato e che funziona, senza entrare nel cuore del problema – spiega l’avvocato Antonio Tanza, il presidente dell’Adusbef – Inoltre, allargando l’adesione a chiunque, da un lato è distruttiva del ruolo delle associazioni e dall’altro rischia di ingolfare i tribunali senza offrire realmente maggiori tutele ai soggetti che ritengono di essere stati danneggiati. Peraltro, la legge stabilisce che se si inizia un’azione legale e si inizia male, non se ne può fare un’altra. Di conseguenza nulla esclude che dolosamente possano essere avviate azioni fasulle bruciando iniziative potenzialmente di successo. Se questo scenario si avverasse, la nuova norma sarebbe un vero flop”. Inoltre“se lo scopo del governo era quello di abbattere il contenzioso, mi sembra che non ci siamo proprio – dichiara l’avvocato Gianluca Di Ascenzo del Codacons – Non è detto che con questa soluzione i procedimenti saranno più rapidi. Vedremo in corso d’opera. Certo sarebbe stato opportuno ascoltare di più la voce delle associazioni dei consumatori che nel Cncu hanno espresso parere negativo”.
Infine, secondo le associazioni dei consumatori, una questione rilevante riguarda la possibilità di stoppare eventuali pratiche anticoncorrenziali messe in campo dalle aziende. “La nuova formulazione dell’azione inibitoria collettiva limita in maniera irragionevole l’efficacia dello strumento – spiega l’avvocato Alessandro Mostaccio, segretario generale del Movimento Consumatori – C’è quindi il rischio di rendere quasi impossibile la tutela collettiva d’urgenza che in questi anni ha consentito ad associazioni dei consumatori, quali la nostra, di ottenere importanti risultati a vantaggio di milioni di consumatori, inibendo comportamenti illeciti di vasta scala quali, ad esempio, quelli relativi all’anatocismo bancario e alla fatturazione a 28 giorni”.