Infuria ormai da mesi la discussione tra le forze politiche, in Parlamento e nel Governo, sulla forma e sui contenuti da dare ai “ristori” ai risparmiatori vittime delle azioni e dei bond subordinati emessi dalle quattro banche “risolte” il 22 novembre 2015 (Popolare Etruria, Banca delle Marche, CariFerrara e Carichieti) e dalle due finite in liquidazione coatta amministrativa il 26 giugno 2017 (Popolare di Vicenza e Veneto Banca).
Per dare il via ai rimborsi manca ancora il decreto attuativo del ministero dell’Economia e delle Finanze. Che doveva essere presentato, come spiegava il comma 501 della legge 145/2018, entro “trenta giorni dalla data di entrata in vigore della presente legge” (30 dicembre) per definire le modalità di presentazione delle domande di indennizzo, il piano di riparto delle risorse, istituire una commissione tecnica per l’esame e l’ammissione delle domande e nominarne i nove membri “in possesso di idonei requisiti di competenza, onorabilità e probità”.
La scadenza è passata da oltre due mesi. Nel maelström occorre dunque trovare qualche punto fermo.
Il primo è che non si può più giocare sulla pelle di circa 350mila persone, imprese, associazioni che hanno visto i loro investimenti nei titoli delle sei banche “saltate” azzerati da malagestione e altre ipotesi di reato su cui stanno indagando (con molti ritardi e non poche inversioni di rotta) numerose Procure. Se a questi si aggiungessero i 200mila coinvolti nel “salvataggio” del MontePaschi, le vittime salirebbero a oltre mezzo milione. Le quali spesso, dopo il danno, hanno subito pure la beffa di non poter più onorare i propri debiti e di finire così inserite nelle liste dei “cattivi pagatori”. La crisi delle banche si è così trasformata in crisi di famiglie, imprese, territori.
Il secondo è che è falso che chi investì i propri risparmi nelle azioni e nei bond subordinati delle banche finite nei crac stava “speculando”. Analisti indipendenti hanno dimostrato che quei bond subordinati rendevano all’emissione meno di titoli di Stato di pari scadenza. Anche le azioni delle banche non quotate erano acquistate perché presentate come “più stabili” di quelle al listino di Borsa. Dietro questi consigli però c’erano campagne pesantissime di pressioni commerciali sui bancari, con intimidazioni a chi non ubbidiva (e con annessi lauti premi per i capi delle reti e i dirigenti centrali).
Il terzo è che, siccome il diavolo sta nei dettagli, sono proprio le norme “attuative” quelle più a rischio. Per i risparmiatori azzerati queste regole possono essere la versione bancaria di un’autostrada o delle forche caudine. Non a caso lo scontro vero è in corso adesso. C’è chi teme che norme troppo lasche vadano a sbattere contro una procedura di infrazione della Commissione Ue e quindi vuole maglie ancora più strette di quelle, già ridotte, della legge 145 del 2018. Altri invece, con le elezioni europee alle porte, chiedono d’infischiarsene dei paletti europei e di pagare subito tutto a tutti.
Le due posizioni estreme sono impercorribili. La prima perché gli stessi risparmiatori dicono di non temere le decisioni di arbitri “terzi”, purché realmente indipendenti: anche da Banca d’Italia e della Consob che, in queste vicende, hanno già perso più volte la faccia. La seconda è perché il miliardo e mezzo stanziato nel triennio 2019-2021 per il Fondo indennizzo risparmiatori è solo una goccia rispetto alla cinquantina di miliardi bruciati dalle sei banche “saltate” nel 2015-2017, per tacer poi dell’altra quarantina mandati in fumo dalla pira chiamata Mps.
Lasciamo alla politica la ricerca dei suoi equilibri che, forse, troverà finalmente dopo l’incontro di lunedì prossimo a Palazzo Chigi tra Governo e associazioni dei risparmiatori. Un punto di caduta tecnico può valere però nell’ipotesi di ribaltare il percorso di controllo: invece che di un processo bottom-up, dal basso verso l’alto, si potrebbe seguire una procedura top-down, dall’alto verso il basso. In altre parole: invece di passare anni a verificare caso per caso decine di migliaia di domande dei singoli risparmiatori coinvolti, si potrebbe lavorare su poche decine di singoli strumenti finanziari alla ricerca di fattispecie di misselling (vendita scorretta) sin nei loro prospetti finanziari. Prospetto per prospetto, si potrebbero analizzare le azioni e le obbligazioni subordinate azzerate. La domanda è semplice: quei prospetti finanziari dicevano il vero o presentavano ai sottoscrittori, come pure agli acquirenti sul mercato secondario, una versione “edulcorata” delle situazioni aziendali, contabili e finanziarie? Su quei titoli e sui loro collocamenti ci sono storture già evidenziate da sentenze, ispezioni di Banca d’Italia o decisioni della Consob? Se così fosse, i danni subìti sarebbero acclarati e potrebbero essere sanati erga omnes a cascata per le intere categorie di detentori dei singoli titoli.
L’articolo 47 della Costituzione stabilisce che “la Repubblica incoraggia e tutela il risparmio in tutte le sue forme”: visto che in questi casi evidentemente non è stata in grado di difenderlo, almeno ora lo risarcisca. A partire soprattutto dai soggetti più deboli: anziani, famiglie monoreddito e microimprese iscritte, senza colpa, tra i “cattivi pagatori”.