Il progetto governativo “Sharp Eyes”, inserito nei documenti del Comitato Centrale del Partito Comunista Cinese, si approprierà di televisori e smartphone domestici per decentralizzare il sistema di sorveglianza. Tra i partner ci sono HikVision e Dahua, due dei maggiori produttori di telecamere di sicurezza, e SenseTime, la startup specializzata nell'intelligenza artificiale prima al mondo per valore di mercato
L’ossessione per la sorveglianza governativa e per la raccolta dati potrebbe involontariamente favorire l’ascesa di alcune aziende hi-tech cinesi a leader nazionali nei settori dell’intelligenza artificiale e della robotica. Secondo l’equity strategist di Credit Suisse Vincent Chan, “la Cina, grazie alla raccolta dati voluta dal governo, ha un vantaggio competitivo enorme rispetto ad altri paesi leader nel settore tecnologico”. Ad oggi, quasi la metà di tutti gli unicorni cinesi, ovvero le startup valutate da 1 miliardo di dollari in su, si focalizzano sui beni di consumo e fanno uso di tecnologie esistenti. Tuttavia, sono sempre di più le aziende cinesi a navigare nel mondo dell’IA e della robotica, incrementando la competitività del settore. Molte di queste sono focalizzate “sul business della sorveglianza pubblica e operano in costante cooperazione con il governo centrale”, spiega l’esperto ai microfoni di CNBC.
Oggi, secondo i media di stato, oltre la Muraglia, si contano circa 200 milioni di telecamere CCTV dotate di riconoscimento facciale in grado di identificare una persona in pochi secondi. Cifre destinate a raggiungere i 400 milioni di unità entro il 2020 nell’ambito del progetto “Skynet”, lanciato nel 2005 “per combattere il crimine e prevenire possibili disastri”. Un decennio più tardi, le aspirazioni securitarie del governo cinese sono sfociate in un programma ancora più massiccio noto con il nome di “Sharp Eyes”, allusione al sistema di spionaggio popolare lanciato in epoca maoista per incentivare il controllo reciproco tra i cittadini. L’obiettivo conclamato è quello di creare “un network di videosorveglianza onnipresente, completamente collegato in rete, sempre funzionante e controllabile a tutti i livelli” del governo fino ai comitati di partito locali.
Come ricorda Global Voices, “Sharp Eyes, si presenta come versione rurale del famigerato progetto cinese di sorveglianza Skynet da cui si distingue per la partecipazione degli abitanti dei villaggi alla sorveglianza interpersonale al fine di ridurre i costi della sicurezza pubblica. Più recentemente, il Progetto Sharp Eyes è stato inserito nei documenti del Comitato Centrale del Partito Comunista Cinese a seguito della decisione di abolire i limiti del mandato del Presidente e leader del Partito Xi Jinping”. A differenza di Skynet, Sharp Eyes si approprierà di televisori e smartphone domestici per decentralizzare il sistema di sorveglianza, andando potenzialmente a invadere lo spazio privato dei cittadini. Una delle caratteristiche principali del progetto è dunque mettere in diretto contatto videocamere e sensori statali e privati, creando una condivisione di dati unica nel suo genere.
Tra i partner più fedeli troviamo HikVision e Dahua, due dei maggiori produttori di telecamere di sicurezza al mondo, e SenseTime, la startup specializzata nell’IA prima al mondo per valore di mercato. La natura controversa del piano non sembra aver minimamente compromesso la partecipazione dei player privati all’industria, che oggi vale oltre 20 miliardi di dollari. Secondo la no-profit GDI.Foundation, la società di sorveglianza cinese SenseNets ha ottenuto l’accesso ai movimenti e ai dati personali di milioni di persone nello Xinjiang, la regione autonoma uigura dove le autorità di Pechino hanno istituito un sistema di centri di detenzione extragiudiziale per elementi radicalizzati, condannato dalla comunità internazionale per possibili violazioni dei diritti umani. Specializzata nel riconoscimento facciale e analisi video, SenseNets collabora con la polizia in varie città cinesi tanto da essere spesso considerata un contractor del governo. Qualcosa di analogo starebbe avvenendo in Tibet, dove – stando al Nikkei Asian Review – alcuni dei principali colossi tecnologici, come Alibaba, Baidu, Tencent, iFlyTek e SenseTime, hanno cementato la loro presenza nella regione autonoma del Tibet con l’apertura di centri di ricerca e partnership accademiche per lo sviluppo di tecnologia IA e servizi di cloud con fini soprattutto di ordine pubblico.
Come sempre, la partnership è tipicamente “win-win”. Operare sul Tetto del Mondo, ad esempio, offre la possibilità di attingere a sussidi e altre forme di sostegno statali e sgravi fiscali messi a disposizione dal governo per accelerare lo sviluppo delle aree più remote del paese. E, oggi che l’hi-tech è sempre più terreno di scontro tra aziende concorrenti, l’alleanza con le autorità comuniste permette di rosicchiare importanti fette di mercato ai competitor.
Sommando gli sforzi di “Skynet” e “Sharp Eyes”, entro il 2020 il network di videosorveglianza dovrebbe arrivare a coprire il 100% del territorio cinese. Questo sempre che i rapporti con l’Occidente non facciano naufragare tutto. Il problema sta nella dipendenza della Cina dalla componentistica occidentale, già messa recentemente in risalto dal caso ZTE, l’azienda temporaneamente sanzionata da Washington per i suoi contatti con gli “stati canaglia”. Un paio di settimane fa, alcune aziende americane ed europee hanno smesso di rifornire il gigante asiatico di alcuni dispositivi necessari alla fabbricazione di telecamere – già installate in zone sensibili – capaci di riconoscere una persona a una distanza di ben 15 chilometri. La guerra commerciale con gli Usa e le preoccupazioni internazionali per la repressione dell’etnia uigura nel Xinjiang lasciano presagire limitazioni anche più drastiche sulle forniture. E tempi duri per le ambizioni securitarie di Pechino.