Il brain drain, cioè la fuga di cervelli che non viene compensata da ingressi di personale qualificato, è un problema dell’Eurozona. In particolare dei Paesi del Sud Europa che negli ultimi dieci anni si sono svuotati di talenti e competenze. E il quadro dell’Italia evidenzia una situazione fortemente critica: il nostro Paese perde manodopera altamente qualificata, che scappa all’estero per trovare un lavoro, mentre attira immigrati dalle competenze generalmente scarse. Tra il 2007 e il 2017, il Paese ha subito un vero “brain drain”, una “fuga di cervelli”, con una “perdita netta di circa 130mila persone altamente qualificate”, subendo nello stesso tempo “un’immigrazione netta delle due classi di preparazione più basse”. A sottolinearlo sono Cinzia Alcidi e Daniel Gros del Ceps, think tank basato a Bruxelles, nello studio EU Mobile Workers: A challenge to public finances?, presentato oggi nel corso dell’Ecofin informale a Bucarest.
Il quadro che emerge, spiega il Ceps, è che “gli Stati membri meridionali dell’Eurozona hanno subito una emigrazione netta dei cittadini altamente qualificati. Per contro, i grandi Paesi in cui queste persone vanno, come la Germania e il Regno Unito, hanno registrato un aumento netto nei livelli di educazione. Per la Francia, non c’è stata quasi alcuna variazione netta”. A vincere la “guerra dei talenti”, conferma il Ceps, è stato il Regno Unito, dato che “l’aumento della sua popolazione è stato fortemente spostato verso i cittadini europei con una scolarità elevata. Il guadagno netto nei laureati ammonta a oltre 800mila in dieci anni, quattro volte tanto le 200mila persone in fondo alla scala delle competenze”. Anche la Grecia e la Spagna “hanno perso principalmente personale altamente qualificato”, come l’Italia. Per il Ceps, “ciò suggerisce che il ‘brain drain’ potrebbe emergere come un problema all’interno dell’Eurozona, sebbene per il momento la magnitudine del fenomeno resti limitata”.