Aria che dovrà dare respiro ad una commissione che non dovrà essere inutile come quella presieduta da Casini e che potrà farlo lavorando, secondo me, su questi aspetti:
1) Limitare l’autoreferenzialità delle governance bancarie, introducendo magari un limite ai mandati dei consiglieri. Una regola semplice che sola potrebbe ridurre i rischi degli organismi chiamati alle scelte di governo di un’azienda, come quelli della creazione di vincoli e legami, tra nominante e nominati, difficili da sciogliere. Mettiamo il caso di un gruppo dirigente che mostra tolleranza verso prassi negative, il membro del cda può essere indotto ad accettarle perché scelto o semplicemente perché può essere difficile nel breve, se non dotati di attitudini investigative, rendersi conto di cosa stia succedendo davvero.
2) Rendere le scelte strategiche trasparenti. La reputazione si costruisce attraverso un processo collettivo a cui partecipano soci, clienti, opinione pubblica. Ecco perché le scelte strategiche in materia di operazioni finanziarie, di tesoreria e di credito vanno rese trasparenti. Vogliamo valutare l’etica di una banca? Bene, deve poterci dire su quale progetti sta investendo i propri fondi, che fine hanno fatto i soldi depositati, il risparmiatore ha il diritto di sapere se i suoi risparmi sono stati impiegati per finanziare l’economia reale o per fare speculazione finanziaria.
3) Tetto agli stipendi dei top manager. Gli stipendi dovrebbero sempre essere proporzionali alle responsabilità, agli obiettivi da assolvere e anche alle skill e alle competenze oggettive. Nel nostro sistema bancario tra lo stipendio più alto e quello più basso c’è il rapporto di 1 a 50. Le equità, care banche, non si raggiunge scrivendo una mission ma attraverso policy dei compensi, fissando limiti alle remunerazioni e stabilendo che lo stipendio del direttore generale (ad esempio), non possa essere superiore a sei volte quello del collaboratore con inquadramento più basso.