Società

Revenge porn, piuttosto che fare passi avanti e indietro fermiamoci a riflettere

Dalla Camera arriva il sì per l’istituzione del reato di revenge porn, ossia il reato di “porno vendetta”, all’interno del disegno di legge sul “codice rosso”. La pubblicazione di foto e video di contenuto sessualmente esplicito, senza il consenso delle persone rappresentate, diviene un reato, punibile con la reclusione e il pagamento di un’ingente penale, ma a essere condannati saranno anche coloro che cedono o diffondono tali immagini al fine di creare un danno alle vittime.

Il via libera all’emendamento sul revenge porn non è solo una conquista per la lotta alla violenza contro le donne, è anche uno spunto di riflessione per i professionisti in ambito psicologico e sessuologico, rispetto all’impatto della tecnologia nelle relazioni intime, che influenza le modalità di rapporto funzionali, ma anche la drammaticità degli esiti disfunzionali violenti. Con il revenge porn parliamo di due aspetti diversi dell’entrare in relazione: ci riferiamo sia all’intimità violata all’interno della coppia, sia a come ognuno di noi si mette in relazione alle notizie e alle immagini che circolano in rete.

Il ricatto o la vendetta perpetrata nella coppia sulla base di informazioni intime che sono state rivelate o estorte è un fenomeno noto, diffuso e antico, ma la capillare e irrimediabile violenza che consegue alla diffusione di video o immagini online è un fenomeno totalmente nuovo e non ascrivibile alla sola diffamazione.

Un passo indietro: cerchiamo di focalizzare come sono cambiate le relazioni di coppia con l’avvento della tecnologia, prendendo come riferimento il fenomeno del sexting. Il termine sexting consiste “nell’invio, nella ricezione o nell’atto di inoltrare messaggi di testo, fotografie o video sessualmente espliciti ad altri, generalmente tramite smartphone”. Questa nuova moda nata fra i giovani, ma consumata anche dagli adulti e dai giovani adulti, ha una diffusione in aumento; due adolescenti su dieci hanno sperimentato il brivido dell’invio di materiale intimo tramite i social media (secondo una ricerca effettuata nel 2018 da Skuola.net su 6500 giovani tra i 13 e i 18 anni).

Ma perché così tanti adolescenti desiderano provare un “gioco” tanto pericoloso? Possiamo leggere il fenomeno in termini evolutivi e di crescita, in giovani che ricercano la propria identità e sperimentano, attraverso il rischio, la propria indipendenza, nella transizione verso il mondo ignoto dell’età adulta. Il distacco fisico e la mancanza di contatto personale permettono di sperimentarsi senza vivere la relazione di persona.

L’abitudine di scattarsi selfie audaci non riguarda solo gli adolescenti. Alcuni sondaggi, come il Global Sex Survey, raccontano come gli italiani si dedichino al sexting intorno alle 7-10 volte a settimana. Il mostrarsi e nascondersi dietro la tecnologia è un fenomeno sempre più invadente che permette di nascondere la propria identità dietro il digitale, di vivere l’intimità attraverso i selfie.

Manipolare la propria immagine quando ci si relaziona con l’altro permette di portare avanti relazioni deformate, in cui il partner è uno strumento per superare le nostre frustrazioni e incertezze, un follower che deve adeguarsi alle nostre aspettative. L’intimità smette di essere un fatto privato, vivo nella sola memoria della coppia, e diventa un fatto reale e condivisibile. Un’intimità tangibile la cui violazione ha esiti di potenzialità devastante, fino a diventare mortale. Ecco cos’è il revenge porn.

Un passo avanti: che valore diamo alle immagini e alle parole che fluiscono incessantemente nel cyberspazio? Ognuno ha la libertà di scrivere, commentare, pubblicare contenuti, ognuno ha la possibilità di scaricare, fotografare, catturare momenti di vita, rendendoli alla mercé di tutti. Nessuna censura. Forse qualcuna, ma siamo bravi ad aggirarla. Un inno alla libertà e al libero scambio. Gli esiti sono potenti, in alcuni casi drammatici. Da un’immagine inviata al proprio amore o amico di letto arriviamo a un pubblico scambio di pornografia o alla totale distruzione dell’identità di una persona. Un ragazzo sarà deriso dai compagni di classe, ma anche dalla scuola intera. Un professionista perderà la propria credibilità professionale, la propria cerchia di amicizie e di relazioni. Da questo non si scappa. A poco serve cambiare nome o città. La traccia informatica di una fotografia rimane per lungo tempo indelebile.

Forse, piuttosto che fare passo avanti e indietro, è opportuno fermarsi a riflettere: la parola chiave è educare. Una buona educazione alla sessualità e alle relazioni, al rispetto reciproco e alla comprensione del rischio è il necessario accompagnamento al traguardo ottenuto in ambito legislativo.

Punire non è sufficiente: deve cambiare la modalità di porsi rispetto all’altro, riscoprire un’intimità sicura e reale, conoscere il proprio corpo e la propria potenzialità sessuale, lavorare perché la crescita e la strutturazione della propria identità non abbiano esiti nefasti. Abbiamo la responsabilità sociale di arginare l’aggressività dilagante, dobbiamo capire cosa siano rispetto e confini personali e non abbandonarci alla volontà di dominio e all’incapacità di capire chi siamo.

Ringrazio per la collaborazione la dr.ssa Francesca Vannucchi