Rusty il selvaggio (1983) - 5/6
Il bianco e nero della pellicola si deve al daltonismo che affligge il fratello maggiore del protagonista, interpretato da Mickey Rourke. Già solo questo virtuosismo basterebbe per proiettare l’intero film nel gotha di Hollywood. Il “guaio” però è che qui di intuizioni geniali Coppola ne spolvera parecchie. Rifacendosi all’espressionismo tedesco, disegna geometrie ripide, in cui le ombre si stiracchiano contorcendosi e invadendo la scena. Questo, abbinato al continuo fluire delle nuvole in cielo e alla tambureggiante colonna sonora composta da Stewart Copeland, batterista dei Police, sospende la narrazione in una sorta di limbo. Una fissità che poi è la stessa che aggroviglia Rusty James. Interpretato da Matt Dillon, il protagonista cresce nelle bande giovanili di Tulsa, inseguendo il mito del fratello maggiore, Rourke appunto, e commettendo piccoli crimini. Con questo secondo capitolo del dittico giovanile inaugurato con I ragazzi della 56esima strada, Coppola trasmette allo spettatore quel senso di claustrofobica frustrazione che avvolge un’intera generazione. Il cuore tematico del lungometraggio divampa così nella metafora dei pesci combattenti, resa ancora più evidente nel titolo originale, Rumble Fish (che riprende quello del romanzo di Susan Eloise Hinton, da cui è tratta l’opera). Unici elementi a colori nell’intera pellicola, questi pesciolini sfogano l’uno contro l’altro la propria aggressività. Rinchiusi in un acquario finiscono per aggredire la loro stessa immagine, sognando un giorno di poter conquistare l’agognata libertà.
Curiosità: Il regista ha sempre nutrito un forte affetto per questa storia. Proprio come Rusty, infatti, anche Francis aveva una vera e propria venerazione per il fratello maggiore, August. Che poi sarebbe anche il padre di Nicolas Cage, all’anagrafe Nicolas Kim Coppola.