Dracula di Bram Stoker (1992) - 6/6
Sangue, amore e lussuria. Abbracciati in una favola gotica che altro non è se non un canto d’amore. Ben prima che Twilight e i suoi fratelli arrivassero a violentarne l’epica, Coppola prende l’immagine del vampiro e la rende più viva che mani. Rispettando e contaminando a un tempo il romanzo di Stoker, il cineasta italoamericano lavora ancora una volta sul mito e sulle sue ambiguità. Maledetto per aver rinnegato Dio dopo aver perso la moglie Mina, il conte Vlad incarnato da Gary Oldman (sempre sia lodato) trascorre secoli interi nel feroce ricordo di quell’unico amore. Ad animarlo quindi non è (solo) una vocazione malvagia, quanto piuttosto un sentimento raro, capace di attraversare “gli oceani del tempo” per fargli rincontrare l’eterna amata. Un legame così prezioso da farsi dannare pur di poterlo riallacciare. Una simile complessità stravolge il canone. Basti pensare che nemmeno due gemme del cinema horror come Nosferatu e il Dracula con Bela Lugosi avevano saputo dare voce a personaggi così rotondi. Quel che ne esce è quindi un delicato gioco di ombre e passioni, che ci ricorda come l’umanità possa trovarsi ovunque, persino in un mostro. Alimentato da una fotografia pastosa, barocca e quasi cartoonesca, il film preme poi l’acceleratore sul virtuosismo estetico. Un’ultima sferzata nella carriera di Coppola, che con questo successo salvò dalla bancarotta la sua casa di produzione, l’American Zoetrope, oggi gestita dai suoi due figli, tra cui la regista Sofia Coppola.
Curiosità: Coppola aveva messo in chiaro sin da subito la volontà di non ricorrere ad alcun effetto digitale. Per realizzare le complesse metamorfosi di Dracula si avvalse così della consulenza di un mago professionista e incaricò il figlio Roman di ripescare qualche vecchio trucco del cinema di George Méliès.