La scelta di uscire dal programma di aiuti dell’Fmi è certamente una scelta ideologica, che viene da lontano, ma è stata supportata in questi mesi da decisioni concrete atte a preparare il terreno per non trovarsi scoperti. Il prerequisito è la forte crescita economica del paese, al 7,6% (per intenderci, ben oltre quella cinese al 6,2%), tuttavia non è l’unica ragione. Basta uno sguardo proprio alle tabelle dell’Fmi per vedere che il Ghana non è l’unica economia del continente ad essere in forte crescita: davanti a lui ci sono l’Etiopia (8,5%), il Rwanda (7,8%), in testa a tutti la Libia (incredibile ma vero) con una crescita del 10,8%.
L’intero continente africano, come gran parte di quello asiatico, è in crescita. Stagnanti invece le economie occidentali. Tuttavia, se la crescita dei giganti asiatici non sorprende, quella di molti paesi africani rompe i cliché a cui siamo abituati. Certo, la crescita del Pil non qualifica il tenore di vita degli abitanti, né il grado di democrazia e welfare dei paesi in questione. Tuttavia, è un dato di fatto che le giovani economie africane siano in tumultuosa crescita. Il problema ghanese è che al 7,6% di crescita si accompagna un’inflazione all’8% (dato Fmi per il 2018). Per questo il governo ha avviato una serie di riforme e di decisioni che puntano a rinsaldare e diversificare l’economia, per renderla meno dipendente dalle esportazioni: secondo produttore al mondo di cacao, grande esportatore di oro e bauxite e – dal 2010 – anche di petrolio (riserve stimate da 5 a 7 miliardi di barili nelle acque territoriali), il Ghana conta anche su un settore turistico ben avviato. Secondo la legge di bilancio 2019, il tasso di crescita sarà confermato al 7,6%, mentre il deficit si attesterà al 4,2%. Verranno poi emessi prestiti obbligazionari per 2 miliardi di dollari e investiti 2,5 miliardi di dollari.