Michael Jackson è innocente. Il contro-documentario non è tardato ad arrivare. Neverland Firsthand è l’instant doc pubblicato su Yotube con cui la Jackson family ribatte alle pesanti insinuazioni di violenza sessuale su minorenni presenti nello scioccante Leaving Neverland. Trenta minuti di mini interviste fronte macchina e telefoniche condotte dal giovane deejay e fotografo Liam McEwan per smentire categoricamente le accuse rivolte a Jacko da parte di Wade Robson e James Safechuck. Intanto il documentario diretto da Eli Pedraza presenta una rapida sintesi dei procedimenti penali che hanno visto il re del pop in tribunale. Il primo è il caso di Jordan Chandler.
Una causa di abusi su minore avvenuta tra il 1993 e il 1994 chiusasi con un accordo di transazione di 20 milioni di dollari che, nel documentario, specifica la voce fuori campo dell’investigatore Scott Ross che si occupò nel 2005 del più famoso processo a Jackson, “non furono soldi provenienti da Jackson ma da una compagnia assicurativa”. Il cantante aveva accusato la famiglia Jordan di estorsione in almeno un paio di dichiarazioni pubbliche, ma la transazione assicurativa, che va specificato non ha alcun valore legale di ammissione di colpevolezza di Jackson, mise a tacere entrambe le accuse. La seconda causa ripresa nel documentario è quella nata nel 2003. Ancora ipotetici abusi su minorenni, ma con perquisizioni (presenti in video) nel ranch di Neverland, nessuna prova rilevata, un lungo iter processuale (tra cui la testimonianza che scagiona Jackson da parte di Wade Robson, che poi ne diventerà principale accusatore) e la definitiva assoluzione avvenuta il 13 giugno 2005.
McEwan intervista il nipote di Michael, Taj Jackson, e la nipote Brandi Jackson, così come il suo direttore tecnico di lunga data Brad Sundberg, persona che ha soggiornato regolarmente al Neverland Ranch, e che con lui ha lavorato giornalmente in sala registrazione. “Non ho mai visto un bambino vicino a Michael Jackson che poteva dirsi angosciato, ferito, maltrattato. Neverland era un posto tranquillo, sicuro e divertente”. Brandi Jackson invece ha spiegato nei particolari la relazione particolare (“fidanzatini”) che lei bambina di dieci anni ha avuto proprio con Wade Robson (all’epoca novenne), uno dei due principali accusatori di Jacko presenti nel documentario dello scandalo Leaving Neverland.
“È sempre stato un po’ un opportunista”, ha spiegato Brandi, “ha sempre saputo come posizionarsi in situazioni che lo avrebbero potuto avvantaggiare dal punto di vista finanziario”. La Jackson ha poi negato che esistesse una relazione tra suo zio e quello che era il suo fidanzatino Wade. Considerazioni che, come riporta People, sono state attaccate a loro volta dall’avvocato di Robson: “La signorina Jackson non era con Wade e Michael Jackson quando si sono verificati gli abusi sessuali e, in quanto tale, non ha nulla di rilevante da dire sull’argomento”.
Taj Jackson ha poi confermato che lo zio Michael sia divenuto bersaglio nel corso degli anni di numerose cause legali per l’eccesso di generosità verso il prossimo: “Quando sei così gentile le persone se ne approfittano”. Mentre a metà documentario ritorna la testimonianza telefonica di Scott Ross, l’investigatore assunto per la difesa di Jackson nel 2005 che spiega in modo incontrovertibile come proprio in quel clamoroso processo il testimone numero uno a difesa del re del pop, torchiato da diversi avvocati dell’accusa e dal procuratore generale, fosse proprio Wade Robson. Oramai adulto, quello che nel documentario Leaving Neverland è diventato il suo principale accusatore, nel 2005 venne ritenuto dalla giuria il più attendibile difensore dell’innocenza di Jacko.
Ross sottolinea poi come il secondo grande accusatore del 2019, James Safechuck nel 2005 venne escluso completamente dalla corte fin dall’inizio dal gruppo di accusatore in quanto la sua testimonianza proveniva soltanto dalla sua “personale avidità”. Infine ancora un’ultima telefonata, quella al giornalista britannico Charles Thomson, tra i più grandi conoscitori del caso Jackson a livello mondiale che smonta di nuovo la credibilità e i ripensamenti postumi di Robson, e interviene anche nel criticare la tecnica manipolatoria di Leaving Neverland. Secondo Thomson il regista Dan Reed è stato molto abile a costruire una relazione stretta tra i due accusatori e Jackson servendosi di numerose foto e filmati che li vedono insieme per “corroborare la narrazione testimoniale dei due ragazzi”.