La mattina del 28 marzo il custode di un residence antistante la spiaggia di Cala Romantica a Porto Cervo trova la carcassa di un capodoglio spiaggiato. Il fatto in sé rappresenta già qualcosa di straordinario, ma l’amara scoperta fatta dai veterinari dell’Istituto Zooprofilattico di Sassari rivela una realtà ben più inquietante. L’animale era una femmina di otto metri, gravida, che aveva abortito prima di spiaggiarsi e il feto, non essendo stata in grado di espellerlo, era rimasto nel ventre della madre in avanzato stato di decomposizione. Circa due terzi del suo stomaco era occupato da 22 chili di rifiuti tra i quali una rete da pesca e diverse tipologie di plastiche: sacchetti della spazzatura, tubo corrugato, un sacchetto di detersivo per lavatrice, lenze, piatti di plastica e tanti altri oggetti non identificabili.
La società SeaMe Sardegna onlus di La Maddalena è stata subito allertata e ha seguito e documentato tutte le fasi: dallo spiaggiamento alla necroscopia. Il presidente di questa onlus, che lavora in maniera assidua e appassionata per preservare il nostro mare e i suoi abitanti, si chiama Luca Bittau ed è originario di Ozieri, un paesino vicino a quello in cui sono nata io. Dopo questo tristissimo episodio i riflettori di tutto il mondo si sono accesi su di lui e sulla sua associazione, evidenziando in maniera definitiva quanto il problema della plastica e dell’inquinamento nei nostri mari sia grave e troppo sottovalutato. “Come spesso succede in questo Paese, ci si accorge dei problemi solo quando accadono le tragedie. Improvvisamente ci ricordiamo che i nostri comportamenti sconsiderati potrebbero avere qualche conseguenza, ma ciò che bisognerebbe realmente fare è prevenire questo tipo di accadimenti. Io e la mia onlus lavoriamo proprio per questo, per preservare la salute del nostro mare”. Luca parla con gentilezza e garbo, anche se percepisco che ciò che dice lo turba parecchio, perché chi come lui lavora da anni per difendere lo stato di salute del nostro pianeta ha ben presente quanto sia difficile far capire alle persone che l’inquinamento rappresenta un problema davvero serio e che le sue conseguenze ci riguardano molto più di quanto non ci rendiamo conto.
Ultimamente la battaglia di Greta Thunberg, giovane studentessa svedese nata nel 2003, ha sensibilizzato all’azione per la difesa dell’ambiente parecchie persone, tra cui moltissimi giovani. La speranza è quella che, nel momento in cui i riflettori si spegneranno e i media torneranno a occuparsi d’altro, coloro che sono scesi in piazza per protestare contro l’inquinamento non si dimentichino che il problema non sparisce con la fine degli speciali in tv, ma resta e resterà per sempre fino a quando non ci si renderà conto che gli unici responsabili di ciò che accade ai nostri mari, alle nostre foreste, alle nostre città siamo noi. Nel bene e nel male.
Luca questo lo sostiene da anni e rispetto all’episodio della mamma capodoglio ci tiene a fare una precisazione: “La plastica non è l’unica cosa che uccide i cetacei. Spesso molti animali muoiono a causa di urti contro le imbarcazioni, o peggio perché ingeriscono sostanze chimiche presenti nel mare. L’inquinamento chimico è una delle cause più frequenti di morte per i cetacei, poiché ne indebolisce il sistema immunitario e causa malattie come ad esempio il morbillo nei delfini. Ma vi è anche l’inquinamento acustico, causato dal rumore delle imbarcazioni. A questo proposito noi di SeaMe stiamo conducendo un’indagine scientifica su un’area chiamata ‘Canyon di Caprera’, nella quale sono presenti circa otto specie di cetacei che qui vivono e si riproducono. Tra questi abbiamo rilevato che lo zifio (una specie di delfino) è appunto un esemplare particolarmente sensibile all’inquinamento acustico”.
Certo è che secondo il Wwf il 95% dei rifiuti del Mediterraneo è composto da plastica e che proprio questo mare è classificato come la sesta grande zona di accumulo di rifiuti plastici al mondo. Sempre il Wwf sostiene che ogni giorno in Italia vengono utilizzate circa 32 milioni di bottiglie in plastica. A fronte di questi dati, il 27 marzo 2019 l’Europarlamento ha approvato il divieto di alcuni prodotti in plastica monouso: la nuova normativa entrerà in vigore dal 2021. Intanto, l’episodio del capodoglio a Porto Cervo ha sensibilizzato i sindaci di molte località sarde che hanno deciso di bandire la plastica dalle loro spiagge. “Anche se – come sostiene Luca Bittau – affannarsi ora, dopo che il danno ai nostri mari è stato fatto, è un po’ tardi. Certo, meglio tardi che mai, ma ciò che è mancato sin dall’inizio è la prevenzione e soprattutto un intervento più tempestivo che non c’è stato. I sindaci che ora si affannano a bandire la plastica dalle spiagge sono gli stessi che prima – anziché adoperarsi per eliminarla – chiedevano a fotografi e giornalisti di non riprendere dove c’era plastica, perché in nessuna foto o servizio comparisse una spiaggia sporca o trascurata”.
Non è difficile credergli, perché il problema dell’inquinamento è sempre stato considerato un problema di serie B, specialmente da chi si preoccupa soprattutto di restituire un’immagine quanto più corrispondente al sogno chiamato Sardegna. Ma la realtà è ben diversa e la realtà è quella nella quale viviamo tutti, quella nella quale vivono i nostri figli. Se non vogliamo farlo per noi, facciamolo almeno per loro.