Nella “trappola” è finito anche il Montenegro, alle prese con la realizzazione di un’autostrada da 165 chilometri in una delle zone più impervie dell’Europa meridionale. La prima fase del progetto, costata 1,1 miliardi e finanziata per l’85 per cento sempre dalla China Exim Bank, ha fatto impennare il debito del Paese e costretto il governo ad aumentare le tasse e a congelare in parte gli stipendi dei dipendenti pubblici. Secondo il Fondo monetario internazionale, per costruire la seconda e la terza parte dell’autostrada saranno necessari fondi con tassi altamente agevolati, pena l’insolvenza del debito. Una situazione non troppo diversa da quella delle Maldive, il cui debito sovrano, in base alle stime riportate da Forbes, è per l’80 per cento in mani cinesi. “Non siamo nelle condizioni fiscali per portare avanti questi contratti. Quindi è nel nostro interesse rinegoziarli”, ha dichiarato a inizio anno al Financial Times il nuovo ministro delle Finanze maldiviano. Parole simili a quelle pronunciate dal premier della Malesia poco dopo la sua elezione, con cui ha annunciato lo stop a tre progetti legati alla Nuova via della Seta (una ferrovia e due gasdotti da oltre 20 miliardi di dollari complessivi).

Uno dei problemi della Cina nella realizzazione di questo piano di investimenti, sostiene il think tank Center for global development, è l’indisponibilità a partecipare a tavoli multilaterali per la cancellazione del debito dei Paesi più in difficoltà e a rispettare gli standard internazionali. Finora il governo guidato da Xi Jinping si è mosso “caso per caso nella riduzione dei debiti, pur impegnandosi in modo informale con il personale del Fondo monetario internazionale per i singoli casi”. Sembra quasi un’occasione mancata, perché la Nuova via della Seta “potrebbe stimolare la crescita della produttività nei Paesi in via di sviluppo – conclude il report – ma in assenza di regole trasparenti sulla sostenibilità finanziaria rischia di far regredire questi stessi Paesi e bloccarne la crescita”.

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