“Nessuna violazione di una regola cautelare”. È quanto si legge nelle motivazioni con cui il giudice monocratico di Avellino Luigi Buono l’11 gennaio scorso ha assolto l’ex amministratore delegato di Autostrade per l’Italia Giovanni Castellucci e altri dirigenti di Aspi, ovvero Giulio Massimo Fornaci, Riccardo Mollo e Marco Perna. Erano accusati di omicidio colposo per i 40 morti intrappolati nell’autobus precipitato dal viadotto Acqualonga, in provincia di Avellino, il 28 luglio 2013. Non sono stati condannati perché, a leggere le motivazioni depositate nel pomeriggio del 10 aprile, negli atti e nelle delibere di loro competenza (ed in particolare nell’approvazione in Cda del piano di riqualificazione delle barriere risalente al dicembre 2008) non si è riscontrata “nessuna violazione di una regola cautelare” imposta dai loro ruoli apicali che attribuivano “la gestione dello specifico rischio per la sicurezza e l’incolumità degli utenti della strada”. Non solo. La mancata tenuta del new jersey di protezione, coi tirafondi fradici per le intemperie e la mancata manutenzione, “non è riconducibile a una loro condotta omissiva colposa“, che invece va addebitata ad altri soggetti.
L’11 gennaio 2019 furono invece dichiarati colpevoli i diversi funzionari Aspi che si sono avvicendati alla guida del Sesto Tronco, condannati a pene variabili tra i cinque e i sei anni con accuse di disastro colposo e omissione di atti d’ufficio. Mentre Gennaro Lametta, il titolare dell’agenzia che noleggiò il bus, vecchio e con la revisione truccata, è stato condannato a 12 anni. Per quanto riguarda Castellucci e gli altri dirigenti assolti, invece, va ricordato che il procuratore capo di Avellino Rosario Cantelmo aveva chiesto 10 anni di reclusione. Nelle circa 380 pagine con cui è stata motivata la sentenza, il giudice Luigi Buono ha argomenta le ragioni alla base di otto condanne e sette assoluzioni al termine di un processo durato due anni e tre mesi. Secondo il giudice la strage non è ascrivibile alla mancata sostituzione delle barriere, che se fossero state ben mantenute avrebbero retto all’impatto, e la responsabilità del disastro non può essere accollata ai livelli più alti della società che detiene la concessione della A16 e del viadotto di Acqualonga. Castellucci, ricorda il magistrato, aveva mantenuto un potere di controllo sulle strutture tecniche incaricate di valutare quali barriere sostituire. Ma il piano da lui approvato avrebbe consentito “la riqualificazione di tutte le barriere” e non solo quelle di Acqualonga e la scelta di non sostituirle “è stata adottata dal progettista, di concerto con la sua linea, in un momento successivo a quello dell’approvazione del piano di riqualifica”. Peraltro “nessuna norma ne imponeva la sostituzione”, ed è anche normale che certe decisioni spettino ad altri perché, scrive il giudice, in aziende così grandi un solo soggetto non può detenere un potere di controllo così esteso.