Il gelo della Curia romana dopo la decisione del segretario di Stato Parolin che di recente aveva ricevuto il fratello della ragazza scomparsa. Un alto prelato a ilfatto.it: "Qui non abbiamo niente". Ma non è il solo scettico: "Bisogna ammettere che fatti come questo ne avvengono a centinaia, ma sia fatto tutto per cercare la verità e lenire il dolore"
“Facile populismo”. Così un alto prelato della Curia romana commenta a ilfattoquotidiano.it la decisione del Vaticano di aprire un’indagine interna sul caso di Emanuela Orlandi. Decisione al momento non confermata dalla Santa Sede, ma resa pubblica dall’avvocato Laura Sgrò, legale della famiglia della ragazza scomparsa il 22 giugno 1983. “Io so – ribatte l’alto prelato – che non abbiamo niente e questa decisione è solo facile populismo”. Una posizione che punta il dito contro chi ha dato l’autorizzazione ad aprire l’inchiesta.
Fino a oggi, infatti, la Segreteria di Stato vaticana aveva sempre respinto la richiesta del fratello di Emanuela, Pietro Orlandi, di riaprire il dossier sulla ragazza scomparsa. “Non possiamo fare altro – aveva ribadito più volte l’allora Sostituto, ovvero il ministro dell’Interno della Santa Sede, Giovanni Angelo Becciu – che condividere, simpatizzare e prendere a cuore la sofferenza dei familiari. Non so se la magistratura italiana abbia nuovi elementi, ma da parte vaticana non c’è nulla da dire in più di quanto non si sia già detto”. Ma il cardinale Segretario di Stato, Pietro Parolin, che recentemente ha ricevuto Pietro Orlandi, ha deciso di riaprire il dossier sulla ragazza scomparsa che, secondo i famigliari, sarebbe seppellita in una tomba precisa del Cimitero Teutonico, all’interno del territorio vaticano.
“Da parte della Santa Sede – è il commento di un vecchio curiale – certamente ci sono e ci sono sempre stati dolore e partecipazione per questa triste vicenda. Bisogna onestamente, però, ammettere che fatti come questo ne avvengono a centinaia e che il caso Orlandi ha avuto e ha ancora oggi, a distanza di oltre 30 anni, troppa copertura mediatica. Il dolore fa credere a tutto e fa chiedere cose estreme. E la disperazione porta a immaginare situazioni non credibili: chi avrebbe commesso il delitto? Come si sarebbe svolto? E chi mai, qualora fosse accaduto, avrebbe pensato a una sepoltura in Vaticano? Ma, per finire, ora tutto sia fatto per cercare la verità o almeno per lenire il dolore”.
Una posizione largamente condivisa nei sacri palazzi dove sono abbastanza certi che all’interno del Vaticano non ci sia il corpo della Orlandi. E non solo nella tomba indicata dalla famiglia della ragazza all’interno del Cimitero Teutonico. La convinzione è che ci sarà un bis di quanto avvenuto alla fine di ottobre 2018 alla Nunziatura apostolica in Italia. In quell’occasione, durante alcuni lavori di ristrutturazione di un locale annesso alla sede della rappresentanza diplomatica, erano state ritrovate alcune ossa. Per alcune settimane si era ipotizzato, senza però alcun fondamento, che quelle ossa fossero di Emanuela Orlandi e Mirella Gregori, l’altra ragazza scomparsa anche lei nel 1983. Ma gli esami scientifici hanno datato quei resti a poco meno di 2mila anni fa, tra il 90 e il 230 d.C., in pietà età imperiale
Fin dall’inizio del pontificato di Papa Francesco, Pietro Orlandi ha sperato che il rapporto burrascoso che c’è sempre stato tra la sua famiglia e il Vaticano potesse finalmente mutare. Era stato proprio il fratello di Emanuela, insieme con la mamma, a incontrare Bergoglio pochi giorni dopo la sua elezione. I due si abbracciarono il 17 marzo 2013, al termine della messa che, nella sua prima domenica da Pontefice, Francesco aveva celebrato nella parrocchia vaticana di Sant’Anna. Ma poi Orlandi era tornato ad attaccare duramente il nuovo vescovo di Roma: “Bergoglio è il terzo Papa che ho incontrato nella mia ricerca della verità. Con lui il muro in Vaticano su questa vicenda si è alzato più di prima”. Ora l’inchiesta interna della Santa Sede è destinata a fare nuova luce sulla vicenda.