“Sono fortunatissimo perché ho il disprezzo del denaro tipico dei ricchi e la rabbia dei poveri. Per fortuna negli anni 80 e 90 ne ho fatti tantissimi. All’epoca i soldi sembravano non finire mai. In quegli anni a Milano era difficile evitare la cocaina: tutti sniffavano, anche gli operai che mi ristrutturavano casa. Mi dà fastidio pensare che da qualche parte ci sia un coglione che mi vede in tv e dice agli amici, vedi Ruggeri, io con quello ho tirato di coca“. Enrico Ruggeri racconta così in un’intervista a Vanity Fair alcuni dettagli del suo passato, tra cui appunto il rapporto con la cocaina. “La droga avvicina persone che non c’entrano niente tra loro. Tutto tempo perso”, ha detto.
Poi ha ricordato il rapporto con suo padre, che definisce una persona “totalmente assente”: “Oggi si direbbe che soffriva di depressione, all’epoca era soltanto un tipo strano. Stava tutto il giorno in pigiama. Non ha mai lavorato, ha passato la vita a dilapidare il patrimonio che aveva ereditato“.
Il cantautore milanese ha pubblicato il 15 marzo scorso Alma, il suo trentacinquesimo album in studio (considerando anche i dischi prodotti con i Decibel) e nel corso dell’intervista ha parlato anche del contesto politico che aleggiava sui musicisti della sua generazione quando ha iniziato la carriera nel mondo della musica. “Io suonavo e non mi interessavo di politica: già questo voleva dire essere di destra. Non ero niente e non ho mai votato. Però venni minacciato perché avevo i dischi di Bowie: quella sinistra così stalinista era super omofoba e quell’immaginario glam non era gradito. Il musicista doveva essere il cantautore con la barba, scarno, brutto. Senza alcun senso dello show, che è poi il grande limite del cantautorato italiano: bei testi, musiche così così e spettacolo nullo”, ha spiegato Ruggeri. “Questo l’ho pagato. La critica non mi ha mai messo in serie A: neanche in B, diciamo in A1. Cosa peraltro abbastanza semplice da fare, perché in Italia i cantautori non mancano”.