Viviamo in un mondo indubbiamente cupo e spiacevole. Devastazione ambientale, cambio climatico, razzismo, sessismo, aumento delle disuguaglianze, conflitti e pericoli crescenti di guerra globale. Sono questi solo alcuni dei flagelli che il capitalismo, affannato a saccheggiare risorse e sfruttare esseri umani per alimentare la sua corsa alienata e senza senso verso l’accumulazione fine a se stessa, sta scatenando ovunque nel pianeta. I giovani sono vittime predestinate di questa situazione malata. Privati del futuro, ridotti nella migliore delle ipotesi a puri soggetti di consumo, bombardati ideologicamente da apparati ideologici finalizzati al mantenimento dello status quo. Il capitalismo ne farebbe volentieri a meno, tanto non sa che farsene.
Nell’Occidente capitalistico la classe politica è completamente asservita al capitale. Vengono raggiunte, specie in Italia, vette inedite di ignoranza individuale, e non si tratta solo di congiuntivi sbagliati. Il politico cosiddetto populista si vende all’elettorato mostrandosi nell’atto di ingurgitare tonnellate di cibo, ovvero intento al sacro compito di difendere il suolo patrio da orde di persone in cerca di futuro che fuggono da realtà depredate e devastate. Con modelli del genere, la dequalificazione costante dei media (con poche eccezioni) e la crisi galoppante della scuola, ci si aspetterebbe di trovarsi di fronte a generazioni completamente prive di consapevolezza, greggi abbrutiti dall’individualismo e dall’egoismo e orbati da ogni possibile speranza di alternativa.
Fortunatamente non è così. Alcune storie, particolarmente significative, dimostrano che il progetto di sterminare la coscienza dei giovani per renderli docili strumenti dell’accumulazione capitalistica intenti solo al loro illusorio benessere individuale (che sempre più difficilmente raggiungeranno) non è passato e non passerà.
La prima storia è quella di Eddi, la giovane torinese che, insieme ad altri suoi compagni e compagne, italiani/e e di altri Paesi, è andata in Rojava a combattere il terrorismo dell’Isis nelle file dell’Ypj kurda. L’intervista che Eddi ha rilasciato al Fatto è molto chiara e netta. Si riconosce ovviamente nel movimento femminista “Non una di meno” e altrettanto ovviamente condanna il razzismo e l’islamofobia. Paradossalmente, una magistratura che si fa scappare i delinquenti di ogni genere per asserita mancanza di mezzi perde tempo a processare lei e i suoi compagni perché ritenuti un pericolo per l’Italia. Una storia amaramente paradossale e di sapore kafkiano.
La seconda storia è quella di Simone, l’adolescente di Torre Maura che si è dissociato pubblicamente dal vero e proprio pogrom organizzato dal gruppo filonazista di Casapound contro poche decine di rom. In un quartiere – come molti altri della periferia romana – abbandonato da anni di malgoverno e malaffare, pochi rom vengono additati come il vero problema per nascondere i veri problemi e i veri criminali. Un giochetto analogo a quello che Hitler fece contro gli ebrei per salvare Krupp e tutto il grande capitale tedesco. La cosa sconfortante è che ci sia ancora chi abbocca a questi squallidi trucchetti. Simone no, e con lui, si spera, moltissimi altri giovani.
La terza storia è quella di Greta Thunberg, la giovanissima svedese che ha lanciato in tutto il mondo grandi mobilitazioni contro il cambiamento climatico. Sebbene sia giovanissima, anche Greta ha le idee chiare. E’ falso e ipocrita, dice, affermare che le responsabilità di quanto sta accadendo siano di tutti, perché sono invece del sistema e di chi lo dirige. Il fallimento delle già limitate soluzioni escogitate dalla Conferenza di Parigi dimostrano che non c’è più tempo e che solo una ribellione della società, in primo luogo dei giovani, può salvare il pianeta e il futuro dalle grinfie di una classe dominante criminale e irresponsabile.
Tre storie indubbiamente diverse tra di loro, ma che hanno un elemento in comune. Il rifiuto del punto di vista dominante, che va rovesciato per garantire un futuro all’umanità. La necessità di demolire l’apparato di menzogne che infetta le coscienze e indebolisce le volontà, il cui pernicioso messaggio è il seguente: “non c’è più nulla da fare”. L’ambiente è destinato a deteriorarsi definitivamente, i popoli a restare sotto il giogo dell’oppressione. Unico sfogo permesso a chi sta male è prendersela con chi sta peggio, purché si lascino in pace i manovratori che ci hanno portato fino a questo punto e che non hanno alcuna intenzione di mollare la presa. Un messaggio distruttivo e immorale contro il quale, a oltre 50 anni dal 1968, dovrebbe finalmente scatenarsi la ribellione dei giovani in tutto l’Occidente capitalistico e più in generale nel mondo.
Fabio Marcelli
Giurista internazionale
Società - 10 Aprile 2019
I giovani non sono tutti uguali. E si stanno (finalmente) ribellando
Viviamo in un mondo indubbiamente cupo e spiacevole. Devastazione ambientale, cambio climatico, razzismo, sessismo, aumento delle disuguaglianze, conflitti e pericoli crescenti di guerra globale. Sono questi solo alcuni dei flagelli che il capitalismo, affannato a saccheggiare risorse e sfruttare esseri umani per alimentare la sua corsa alienata e senza senso verso l’accumulazione fine a se stessa, sta scatenando ovunque nel pianeta. I giovani sono vittime predestinate di questa situazione malata. Privati del futuro, ridotti nella migliore delle ipotesi a puri soggetti di consumo, bombardati ideologicamente da apparati ideologici finalizzati al mantenimento dello status quo. Il capitalismo ne farebbe volentieri a meno, tanto non sa che farsene.
Nell’Occidente capitalistico la classe politica è completamente asservita al capitale. Vengono raggiunte, specie in Italia, vette inedite di ignoranza individuale, e non si tratta solo di congiuntivi sbagliati. Il politico cosiddetto populista si vende all’elettorato mostrandosi nell’atto di ingurgitare tonnellate di cibo, ovvero intento al sacro compito di difendere il suolo patrio da orde di persone in cerca di futuro che fuggono da realtà depredate e devastate. Con modelli del genere, la dequalificazione costante dei media (con poche eccezioni) e la crisi galoppante della scuola, ci si aspetterebbe di trovarsi di fronte a generazioni completamente prive di consapevolezza, greggi abbrutiti dall’individualismo e dall’egoismo e orbati da ogni possibile speranza di alternativa.
Fortunatamente non è così. Alcune storie, particolarmente significative, dimostrano che il progetto di sterminare la coscienza dei giovani per renderli docili strumenti dell’accumulazione capitalistica intenti solo al loro illusorio benessere individuale (che sempre più difficilmente raggiungeranno) non è passato e non passerà.
La prima storia è quella di Eddi, la giovane torinese che, insieme ad altri suoi compagni e compagne, italiani/e e di altri Paesi, è andata in Rojava a combattere il terrorismo dell’Isis nelle file dell’Ypj kurda. L’intervista che Eddi ha rilasciato al Fatto è molto chiara e netta. Si riconosce ovviamente nel movimento femminista “Non una di meno” e altrettanto ovviamente condanna il razzismo e l’islamofobia. Paradossalmente, una magistratura che si fa scappare i delinquenti di ogni genere per asserita mancanza di mezzi perde tempo a processare lei e i suoi compagni perché ritenuti un pericolo per l’Italia. Una storia amaramente paradossale e di sapore kafkiano.
La seconda storia è quella di Simone, l’adolescente di Torre Maura che si è dissociato pubblicamente dal vero e proprio pogrom organizzato dal gruppo filonazista di Casapound contro poche decine di rom. In un quartiere – come molti altri della periferia romana – abbandonato da anni di malgoverno e malaffare, pochi rom vengono additati come il vero problema per nascondere i veri problemi e i veri criminali. Un giochetto analogo a quello che Hitler fece contro gli ebrei per salvare Krupp e tutto il grande capitale tedesco. La cosa sconfortante è che ci sia ancora chi abbocca a questi squallidi trucchetti. Simone no, e con lui, si spera, moltissimi altri giovani.
La terza storia è quella di Greta Thunberg, la giovanissima svedese che ha lanciato in tutto il mondo grandi mobilitazioni contro il cambiamento climatico. Sebbene sia giovanissima, anche Greta ha le idee chiare. E’ falso e ipocrita, dice, affermare che le responsabilità di quanto sta accadendo siano di tutti, perché sono invece del sistema e di chi lo dirige. Il fallimento delle già limitate soluzioni escogitate dalla Conferenza di Parigi dimostrano che non c’è più tempo e che solo una ribellione della società, in primo luogo dei giovani, può salvare il pianeta e il futuro dalle grinfie di una classe dominante criminale e irresponsabile.
Tre storie indubbiamente diverse tra di loro, ma che hanno un elemento in comune. Il rifiuto del punto di vista dominante, che va rovesciato per garantire un futuro all’umanità. La necessità di demolire l’apparato di menzogne che infetta le coscienze e indebolisce le volontà, il cui pernicioso messaggio è il seguente: “non c’è più nulla da fare”. L’ambiente è destinato a deteriorarsi definitivamente, i popoli a restare sotto il giogo dell’oppressione. Unico sfogo permesso a chi sta male è prendersela con chi sta peggio, purché si lascino in pace i manovratori che ci hanno portato fino a questo punto e che non hanno alcuna intenzione di mollare la presa. Un messaggio distruttivo e immorale contro il quale, a oltre 50 anni dal 1968, dovrebbe finalmente scatenarsi la ribellione dei giovani in tutto l’Occidente capitalistico e più in generale nel mondo.
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Il Cairo, 4 mar. (Adnkronos) - I leader arabi concordano di istituire un fondo fiduciario per finanziare la ricostruzione della Striscia di Gaza, devastata dalla guerra, sollecitando il contributo internazionale per accelerare il processo di ricostruzione. Secondo il comunicato finale del vertice della Lega araba al Cairo, visionato dall'Afp, il fondo "riceverà impegni finanziari da tutti i paesi donatori e dalle istituzioni finanziarie" per realizzare progetti di ricostruzione nel territorio.
Tel Aviv, 4 mar. (Adnkronos) - Il Ministero degli Esteri israeliano afferma che la dichiarazione del vertice arabo tenutosi al Cairo per discutere della ricostruzione di Gaza non ha affrontato la realtà della situazione successiva al massacro perpetrato da Hamas il 7 ottobre 2023. "È degno di nota che il feroce attacco terroristico di Hamas non venga menzionato e che non vi sia nemmeno una condanna di questa entità terroristica omicida, nonostante le atrocità documentate", afferma la dichiarazione.
il ministero elogia invece il piano del presidente degli Stati Uniti Donald Trump di trasferire i cittadini di Gaza, sostenendo — nonostante Trump parli di trasferire tutta la popolazione della Striscia — che in base a questo, "c'è un'opportunità per i cittadini di Gaza di scegliere liberamente. Questo deve essere incoraggiato".
Sana'a, 4 mar. (Adnkronos) - Gli Houthi hanno abbattuto un drone statunitense nei cieli della città portuale di Hodeidah nello Yemen. Lo ha dichiarato portavoce del gruppo, Yahya Saree, in un post su Telegram.
Washington, 4 mar. (Adnkronos) - Secondo due fonti informate sui colloqui, gli Stati Uniti e l'Ucraina potrebbero firmare l'accordo sui minerali già oggi. Lo rende noto Abc News, secondo cui Trump ha indicato ai suoi principali consiglieri che vorrebbe concludere l'accordo prima del suo discorso congiunto al Congresso.
Il Cairo, 4 mar. (Adnkronos) - Il vertice arabo convocato al Cairo ha adottato un piano egiziano per la ricostruzione di Gaza. Lo ha affermato il presidente egiziano Abdel-Fattah al-Sisi in una dichiarazione conclusiva. Il piano mira a contrastare le proposte del presidente degli Stati Uniti Donald Trump per una "Riviera mediorientale" con un piano per ricostruire la Striscia devastata senza sfollare la sua popolazione.
Parigi, 4 mar. (Adnkronos/Afp) - Il presidente francese Emmanuel Macron ha accolto con favore la volontà del suo omologo ucraino Volodymyr Zelensky “di riprendere il dialogo con gli Stati Uniti d'America”, secondo quanto riferito dall'Eliseo.
Il capo di Stato “ha ribadito la determinazione della Francia a lavorare con tutte le parti interessate per attuare una pace solida e duratura in Ucraina”, ha dichiarato la presidenza.
Roma, 4 mar. (Adnkronos) - Elly Schlein è netta sul piano lanciato oggi da Ursula Von der Leyen. "Noi non ci stiamo", la posizione della segretaria del Pd. Una linea che, pur con sfumature diverse, trova d'accordo anche l'area riformista dem. Servono "modifiche", dice Lorenzo Guerini. In particolare, a mettere tutti d'accordo è la bocciatura della proposta della presidente della Commissione Ue sulla possibilità di dirottare i fondi di Coesione sulle spese per la difesa. E non solo. Anche la deroga al patto di Stabilità da parte dei singoli Stati, fuori da regia e investimenti comuni sulla difesa, è giudicata un errore trasversalmente tra i dem.
Schlein ha già annunciato che porterà la posizione del Pd alla riunione dei Socialisti e Democratici giovedì mattina a Bruxelles, il pre-vertice che precede il Consiglio europeo straordinario. In vista dell'appuntamento Schlein oggi ha sentito il premier spagnolo Pedro Sanchez. "Una lunga conversazione sullo scenario internazionale e la complicata situazione mondiale", fanno sapere fonti dem. Quella del Pd è la delegazione più numerosa nella famiglia socialista europea. Senza l'ok dei socialisti il piano Von der Leyen traballa. "È il momento delle scelte e della chiarezza. Abbiamo bisogno di una risposta all'altezza della sfida globale - strategica, economica, politica - al ruolo dell'Europa nel mondo. E questa risposta non è quella presentata oggi", rimarca Schlein.
Negli equilibri interni al Pd, la sollecitazione dei riformisti è quella di lavorare per modificare il piano Von der Leyen, "aiutare ad andare nella direzione giusta" ed evitare che ci si arrocchi in un "no a tutti i costi". L'importante, si spiega, "è non mettere in discussione la necessità dell'aumento di risorse per la difesa europea". Per Guerini si tratta di un'esigenza "ineludibile". Quindi la sollecitazione del presidente del Copasir: "Ora bisogna mettersi al lavoro, innanzitutto all’interno del Pse, per confermare in maniera convinta il nostro impegno per maggiori investimenti e capacità militari europee provando a dare un indirizzo più coerente agli strumenti per farlo".
Per Schlein "quella presentata oggi da Von Der Leyen non è la strada che serve all’Europa. All’Unione europea serve la difesa comune, non il riarmo nazionale. Sono due cose molto diverse". Anche il titolo 'Rearm' ha fatto sobbalzare più di uno e anche la segretaria lo mette in evidenza. "Il piano Von Der Leyen, a partire dal titolo, punta sul riarmo e non emerge un indirizzo politico chiaro verso la difesa comune".
Quindi elenca i nodi: "Indica una serie di strumenti che agevolerebbero la spesa nazionale ma senza porre condizioni sui progetti comuni, sull’interoperabilità dei sistemi. Ci sono molti aspetti da chiarire, ad esempio su come funzionerebbe il nuovo meccanismo in stile Sure, per capire se finanzia progetti comuni o spesa nazionale. Ma questa -avverte- non è la strada giusta. Manca ancora la volontà politica dei governi di fare davvero una difesa comune e in questo piano della Commissione mancano gli investimenti europei finanziati dal debito comune, come durante la pandemia. Così rischia di diventare il mero riarmo nazionale di 27 paesi e noi non ci stiamo".
"Noi -insiste- abbiamo un’idea precisa. Quello che serve oggi è un grande piano di investimenti comuni per l’autonomia strategica dell’Ue, che è insieme cooperazione industriale, coesione sociale, transizione ambientale e digitale, sicurezza energetica e anche difesa comune. Anche, ma non solo! Magari cancellando le altre cruciali priorità su cui i governi sono più divisi. È irrinunciabile contrastare le diseguaglianze che sono aumentate. Per questo è inaccettabile utilizzare i fondi di coesione per finanziare le spese militari nazionali".
Punti critici che vengono rilevati anche dai riformisti. Per Guerini "la proposta Von der Leyen definisce giustamente l’obiettivo in termini di risorse", ma "così come è stata prospettata necessita di essere modificata: è sbagliato l’utilizzo dei fondi di coesione e c’è poco coraggio a sostenere un vero salto in senso europeo delle spese per la difesa". Avverte Alessandro Alfieri: gli strumenti "che mettiamo in campo devono portare ad una maggiore integrazione delle principali aziende della difesa europea. In questo senso, se non vengono messe condizionalità alle deroghe al patto di stabilità, l’aumento dei bilanci dei singoli Paesi verrà speso prevalentemente su mercati extra Ue, da cui oggi dipendiamo per l’80%. Aumentando la dipendenza strategica dagli Usa anziché diminuirla".
Per il coordinatore della minoranza dem, il Pd non dovrà far "mancare il proprio contributo in tutte le sedi così come spiegheremo che serve una narrazione diversa che convinca le opinioni pubbliche europee a sostenere la sfida ineludibile della costruzione della difesa europea. Magari chiamando questa sfida Protect Europe invece di Rearm. Perché anche il linguaggio ha la sua importanza...”.
Interviene anche Giorgio Gori a sollevare criticità: sarebbe "un errore - ritengo, da parte della Commissione Europea - autorizzare maggiori spese per la difesa dei singoli Stati membri, in deroga al patto di stabilità, fuori da una comune regia. Ciò finirebbe per approfondire la frammentazione, senza apprezzabili benefici per la sicurezza comune. La deroga dal patto dovrebbe invece essere autorizzata solo per gli investimenti comuni: così si porrebbero le condizioni per l'avvio di un vero sistema di difesa europeo". E poi "ugualmente discutibile appare poi la contrapposizione tra spesa per la difesa e spesa sociale, suggerita dalla facoltà per gli Stati membri di attingere ai fondi per la coesione". Intanto questa mattina la vicepresidente del Parlamento Ue, Pina Picierno ha lanciato un appello via social per un'Europa 'Libera e forte' in 5 punti, difesa comune compresa. Oltre duemila, finora, le adesioni.