Mi auguro che Ignazio Marino racconti presto in un libro la sua disavventura giudiziaria, una storia esemplare di quel che è oggi la competizione politica in Italia. Me lo auguro perché in quel caso capiremmo se la sua caduta richiese l’apporto di soggetti diversi dai politici, ma ai politici intrecciati in quella trama complessa (e leggermente nauseabonda) che è il potere nel capitalismo di relazione; e capiremmo, appunto, se nel capitalismo di relazione lo stato di diritto liberale funzioni ancora correttamente, se cioè sia in grado di proteggere la libertà e i diritti di tutti gli individui, anche quelli antipatici a potentati, partiti e giornali.

Qui non è in discussione se Marino abbia dimostrato o no la competenza e l’abilità necessarie a risollevare le sorti di un Comune catastrofico come Roma (io non lo votai). Quel che invece importa è che, quali che fossero i suoi meriti o demeriti, Marino incontrò da subito l’ostilità pregiudiziale di chi lo viveva come un pericolo, non fosse altro perché totalmente estraneo alla cultura tradizionale del potere a Roma. Da qui il suo nomignolo di “Marziano“, che avrebbe dovuto essere un merito, data l’opacità della politica romana, e invece trasformava la sua diversità in una colpa grave, ontologica, irrimediabile, perché un marziano non potrà mai capirci né noi lo potremo mai considerare “uno di noi”. A Roma funziona così con chi vuole cambiare le cose: o diventa “marziano” e finisce subito male, oppure diventa “romano” e bene che vada si rassegna a non fare niente. La Raggi non è “marziana”, questo è sicuro.

Presto fu chiaro che Marino non piaceva a un’antropologia comprensiva di segmenti tra loro storicamente e funzionalmente collegati – taluni costruttori, poderosi apparati municipali, parte della tecnocrazia comunale, apparati di partiti. Ostili per principio erano anche le opposizioni e la stampa di riferimento, fedele a quel paradigma italiano per il quale se non sei dalla nostra parte sei di sicuro un imbecille o un criminale. Infine si scatenò il friendly fire del Pd renziano e del giornalismo connesso, quest’ultimo con mitragliamenti tanto violenti e sistematici da non far dubitare che fosse la direzione a orchestrarli. Quando arrivò l’incriminazione, trattare Marino come un cretino forse anche losco era un topos dell’informazione italiana.

Ora la Cassazione ci dice che il Marziano è stato crocifisso senza motivo, quanto gli fu addebitato “non costituisce reato”. Attendiamo le motivazioni della sentenza, ma intanto possiamo dire questo: alla fine la giustizia trionfa, però talvolta non prima di aver triturato la carriera di un innocente, di avergli rovinato la vita e mutilato l’onore esponendolo per anni al ludibrio. Chi paga per questo scempio? Ovviamente nessuno. Chi manifesta rimorso, chi ammette una certa anche minima corresponsabilità morale? Ancora una volta: nessuno. Faranno esame di coscienza i giornali? Figuriamoci. L’ordine dei giornalisti? Ma via. Il Pd di quel tempo? Non ne ha alcuna intenzione. La destra? Non scherziamo. I 5 stelle? Anche in questo caso, perfettamente omologhi agli altri.

Beninteso, che la Cassazione contraddica due sentenze precedenti è fisiologico all’esercizio della giustizia. Però non è fisiologico che nessuno – tra partiti, giornali e cronisti giudiziari – in precedenza abbia messo in dubbio la correttezza dell’accusa. A meno che l’accusato sia l’editore o suo sodale, in Italia non usa. Suona poco democratico. Irrispettoso: le sentenze si rispettano! Eppure non si capisce per quale misterioso motivo la giustizia debba essere per principio al di sopra di ogni critica e di ogni sospetto. Né perché mai siano stati puniti dal Csm quei magistrati che hanno commesso “errori” incredibili, dall’arresto di Baffi e Sarcinelli fino a certe recenti inchieste sulle Ong del mare per accuse che si direbbe ispirate da poteri dai quali ogni procura dovrebbe tenersi lontana. Certo, tanti magistrati lavorano con qualità, dedizione e coraggio. Però la giustizia non può essere un terno al lotto in cui, se ti dice male, a giudicarti è uno che sarebbe più utile in una pizzicheria. Quantomeno farebbe meno danno.

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