Sul sito dell'IMO, che riconosce a Tripoli il coordinamento dei soccorsi nelle proprie acque SAR, ci sono tre numeri. Sono gli stessi che l'Imrcc di Roma fornisce alle ong. Il primo squilla, ma non c’è risposta. Con il secondo cade la linea. Al terzo, che dovrebbe essere operativo H24, rispondono solo al 3° tentativo: sono passati 20 minuti, che possono significare la morte di chi è in difficoltà. Il portavoce Qasem: "Per noi le organizzazioni non esistono dal punto di vista legale". Ma le norme internazionali impongono di rispondere
Il 2 e il 3 aprile la cosiddetta Guardia costiera libica ha intimato alle ong di non entrare nelle acque territoriali, ma questo è solo l’ultimo capitolo di uno scontro che va avanti da mesi. “Per noi le ong non esistono dal punto di vista legale – ha spiegato a ilFattoQuotidiano.it il portavoce Ayoub Qasem – non sono interlocutori attendibili perché ostacolano le nostre operazioni di soccorso e quando chiediamo loro di allontanarsi dai migranti non lo fanno”. Uno scontro scandito da dichiarazioni a mezzo stampa perché ong e il Centro di Ricerca e Soccorso (Joint Rescue Coordination Centre, JRCC) di Tripoli hanno difficoltà a parlarsi da tempo.
Le ong chiamano, ma Tripoli non risponde. Poi però, se le ong effettuano un soccorso in acque di loro competenza, la Guardia Costiera Libica le accusa di violarne la sovranità. L’ultimo episodio risale a mercoledì 3 aprile. La nave Alan Kurdi di Sea Eye viene informata da Watch the Med – Alarm Phone che in acque SAR libiche c’è un gommone con a bordo 64 migranti. Sea Eye contatta il JRCC di Tripoli, ma a quanto pare nessuno risponde. Stessa storia lo scorso 22 dicembre con il comandante di Sea Watch 3 che lamentava una serie di problemi: “I numeri di telefono non funzionano, quando squillano nessuno risponde e nel migliore dei casi, quando qualcuno risponde, non parla inglese”.
Il 29 dicembre era toccato alla nave Doctor Albert Prenck di Sea Eye che dopo aver individuato una barca con una ventina di persone a bordo chiama Roma. Roma rimanda per competenza a Tripoli ma ancora una volta nessuno risponde. A partire dalle 7.53 del mattino il diario di bordo della nave registra diverse chiamate, ma i libici si fanno vivi via mail solo dopo mezzora quando alle 8.25 assumono il coordinamento dei soccorsi e ordinano alla ong di stare lontani dai migranti. Il 20 gennaio il problema lo segnala Alarm Phone, quando riceve notizia di un natante a 60 miglia da Misurata. Non ci sono ong nelle vicinanze, si rischia l’ennesima tragedia. A quel punto la rete di allarme per il soccorso in mare, contatta Tripoli, vengono tentati addirittura 6 numeri, ma la cosiddetta Guardia Costiera Libica risponderà solo a Palazzo Chigi che si mobilita per sollecitarne l’intervento.
LA GUARDIA COSTIERA LIBICA: “LE ONG CI OSTACOLANO” – Per sapere se è vero che la Guardia Costiera Libica non risponde, proviamo a chiamarla anche noi. Sul sito dell’IMO, International Maritime Organization che dallo scorso giugno riconosce a Tripoli il coordinamento delle attività di ricerca e soccorso nelle acque di propria competenza, ci sono tre numeri di telefono. Sono gli stessi che il centro di Coordinamento del Soccorso a Roma fornisce alle ong quando passa la palla alla Libia. Il primo numero squilla, ma non c’è risposta. Proviamo con il secondo ma cade la linea. Il terzo numero è quello che dovrebbe essere operativo H24 ma anche qui il telefono squilla invano.
Riproviamo una seconda volta e alla terza siamo fortunati. “Hello?”, finalmente qualcuno risponde ma sono già passati almeno 20 minuti, un lasso di tempo che in caso di emergenza può essere una vita. Spieghiamo che siamo giornalisti e vorremmo capire se è vero che quando le ong chiamano non riescono mai a parlare con nessuno. Dall’altro capo del telefono mi risponde un ufficiale. “Le ong fanno operazioni senza coordinarsi con l’Autorità Libica”. Facciamo notare che se non rispondono è difficile coordinarsi con loro. L’ufficiale ride. “Vedo dal sistema che lei aveva provato a chiamarmi altre due volte. Se si fosse fermata al primo tentativo avrebbe concluso che non rispondiamo, non è così?”.
LA LEGGE IMPONE DI RISPONDERE ALLA RICHIESTA DI SOCCORSO – In base a quanto previsto dalla Convenzione Internazionale delle SAR, detta anche Convenzione di Amburgo che la Libia ha ratificato nel 1979, la Guardia Costiera Libica non può rifiutarsi di rispondere ad una chiamata di soccorso, anche quando a chiamare è un soggetto che il portavoce Ayoub Qasem considera “non credibile o inesistente dal punto di vista legale”, come una ong. D’altro canto, le prime a non fidarsi di quella che a loro volta chiamano “so called” (cosidetta) Guardia Costiera Libica, sono proprio le stesse organizzazioni.
“Per noi i salvataggi effettuati dalla cosiddetta Guardia Costiera Libica equivalgono a veri e propri respingimenti”, spiega Federica Mameli di Sea Watch. Poiché la Libia non ha firmato la Convenzione di Ginevra del 1951 e il suo ordinamento interno non prevede norme per la protezione dei rifugiati, per le ong la Libia non è un Paese sicuro e riportare i migranti indietro costituisce una violazione del principio di non refoulement (non respingimento) sancito dall’art. 33 della Convenzione di Ginevra e dell’art. 3 della Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo. Nonostante questo, le ONG dichiarano di contattare sempre il JRCC di Tripoli.
LE ONG: CHIAMIAMO TRIPOLI PERCHE’ DOBBIAMO – “Sembra un paradosso – ci spiega Carlotta Weibl di Sea Eye – ma poiché come ong veniamo spesso criticate di non rispettare la legge vogliamo mostrare che la rispettiamo”. Secondo la Convenzione di Amburgo quando una nave avvista un’imbarcazione in pericolo deve in prima battuta informare il centro di soccorso competente. Dato che le ONG si trovano in acque SAR libiche, il centro da contattare è il JRCC di Tripoli. “Chiamiamo i libici perché dobbiamo – continua Weibl – ma questo non vuol dire che siamo disposti a lasciare i migranti nelle loro mani”.
Chiediamo allora se questo non significhi infrangere la legge, dato che la procedura impone anche di attenersi alle indicazioni del centro di soccorso responsabile. “Se Tripoli ci rispondesse noi chiederemmo un porto sicuro, ma poiché la Libia non è in grado di offrire porti sicuri, non siamo tenuti a collaborare loro”. In pratica che Tripoli risponda o meno, all’atto pratico per le ONG non fa differenza. Anzi, se nessuno risponde probabilmente si risparmiano tempo e complicazioni.
Anche nel caso in cui la Guardia Costiera Libica rivendicasse il soccorso, la ong di turno probabilmente non resterebbe a guardare, specialmente nel caso in cui fosse il mezzo più vicino. “Non possiamo aspettare qualcuno che non arriva o se arriva, arriva troppo tardi”, conclude Weibl. La mancata risposta dalla Guardia Costiera Libica però una differenza la fa sul piano formale, specialmente se è vero che non si attiva neanche in risposta alle email con le coordinate come nel caso del gommone segnalato da Alarm Phone il 2 aprile.
“I casi sono due”, spiega il portavoce di Sea Eye Gorden Isler. “O la Guardia Costiera Libica non è in grado di utilizzare le informazioni o non ha la volontà di fare un servizio di pattugliamento attivo alla ricerca di possibili barconi in difficoltà. In entrambi i casi la Guardia Costiera Libica dimostra di non rispettare gli standard degli altri Centri di Ricerca e Soccorso europei”.
Diversa la versione della Guardia Costiera Libica. “Non è vero che non rispondiamo”, conclude Ayoub Qasem. La verità è che le ong non ci chiamano sempre. A volte fanno uno squillo e basta. Altre invece ci chiamano quando stanno già effettuando un soccorso, ma questo è scorretto perché dovrebbero chiederci il permesso prima di attivarsi, non dopo. Con loro non si riesce a collaborare”. Come a dire, tanto vale non mettersi a discutere.