Chi è Zachary Boyd? Inutile googlare il nome. Ce ne sono troppi nel mondo, cominciando da un ministro scozzese nato nel 1585 per finire a un ricercatore di sociolinguistica dell’Università di Edimburgo. E i profili Facebook con questo nome sono decine. Ma il nostro Zachary lo si riconosce facilmente cercando tra le immagini. È quel soldato in boxer rosa, infradito, elmetto e giubbetto anti proiettile che combatte in una sperduta valle dell’Afghanistan. Divenne famoso perché la foto di questo improbabile combattente venne pubblicata in prima pagina dal New York Times il 12 maggio 2009. “Era preoccupato che avrebbe perso il lavoro” spiegò la madre all’Associated Press il giorno dopo riferendosi al suo precario abbigliamento e al formalismo dell’Esercito. Ma Zachary Boyd non perse il lavoro, anzi venne elogiato: era importante combattere, non vestire secondo i regolamenti.
Cosa c’entra Zachary Boyd con Fico Pasquale, cognome prima del nome? Apparentemente nulla, se non fosse che il luogotenente Fico Pasquale, carrista, delegato Cocer allora e anche oggi, scelse questa immagine per illustrare nel 2012 una sua lettera aperta al capo di Stato maggiore dell’Esercito, generale Claudio Graziano. Titolo della missiva pubblicata sul sito marescialli.it (ora defunto): “Suole bucate ma anfibi lucidi”. Titolo non casuale: la lettera commentava un documento dello stesso Graziano sulle qualità del soldato: disciplina, spirito di corpo, integrità morale. Richiami nobili (anche se io avrei invertito l’ordine dei fattori, ma si sa non sono il generale Graziano) benché un tantino fuori obiettivo secondo alcuni. Tra questi alcuni anche Fico Pasquale, cognome prima del nome. Per Fico i richiami di Graziano sembravano non cogliere la realtà (le suole bucate) preferendo la forma (gli anfibi lucidi). Tutto il contrario di Zachary Boyd.
Concludeva la lettera aperta: “E così l’idea di un’astratta etica o identità militare calata dall’alto porta con sé la negazione di altri valori, come la consapevolezza, la partecipazione, lo spirito critico e di iniziativa”. Insomma Fico Pasquale, cognome prima del nome, scarpe grosse e cervello fino, un po’ come il Bertoldo della storia non le manda a dire. E come un Don Chisciotte di altre storie, quando serve inforca un suo ipotetico Ronzinante e parte all’attacco. Ci vuole coraggio per strattonare un generalone. E all’attacco metaforicamente ci va sul serio, quando serve. Basta vedere l’impressionante medagliere che porta sul petto quando è in alta uniforme. Roba da generale sovietico. Non che siano medaglie al valore. Che volete i militari di oggi le medaglie le usano come cartoline: una per dire sono stato in Afghanistan, un’altra ricorda il Kosovo, e via viaggiando. Meglio così, comunque, delle medaglie scambiate con un braccio amputato o un occhio cecato, se non peggio. Fico Pasquale, cognome prima del nome, le sue missioni le ha fatte sul serio a cominciare dalla Somalia. Dove ricorda anche con una certa emozione di aver trasportato le salme di Ilaria Alpi e Miran Hrovatin quando si imbarcarono per l’ultimo viaggio.
Perché ne parliamo? È presto detto: il Nostro, ormai da tre settimane, è in sciopero della fame. Lo ha annunciato il 14 marzo durante un incontro del Cocer con la ministra della Difesa e dal giorno dopo ha cominciato a digiunare. Fico dice che lo fa a sostegno dell’azione della ministra. Ma ne dubito. Gli scioperi della fame si fanno contro il potere, non il contrario. E lo sciopero del luogotenente Fico Pasquale, cognome prima del nome, non è diverso. Non mangia perché trova che i tempi e i modi con cui si vorrebbe regolamentare il sindacato dei militari siano scandalosamente fuori obiettivo (la sentenza della Corte costituzionale che li ha resi possibile è di oltre un anno fa). Non sta mangiando perché il governo ha promesso riforme di carriera per i sottufficiali ma gli unici beneficiari al momento sono stati gli ufficiali superiori (diecimila maggiori sono diventati dirigenti nello spazio di una notte). Non mangia perché, nonostante le promesse, la tutela della salute dei soldati (uranio impoverito docet) è ancora un orizzonte molto lontano.
Fico Pasquale, cognome prima del nome, non è certo nuovo a imprese radicali e solitarie. È infatti già al suo terzo sciopero della fame. Il primo lo fece con il ministro Carlo Scognamiglio (governo D’Alema), nel dicembre 1998. Il secondo con Antonio Martino ministro della Difesa (governo Berlusconi), iniziato l’8 maggio 2003 durò 28 giorni e alla fine dovette essere ricoverato all’ospedale militare del Celio perché ebbe un malore. Insomma Fico Pasquale, cognome prima del nome, gli scioperi della fame li fa davvero nel caso qualcuno pensasse che è tutto un bluff. Questo terzo con la ministra Trenta, giusto per dire che le sue proteste sono trasversali. Antipolitica? No, anzi. Fico Pasquale, cognome prima del nome, quando serve si schiera. Ha fatto anche il consigliere comunale. Scegliendo la parte sbagliata, secondo me, ma non sempre le etichette, in politica come al supermercato, dicono tutta la verità.
Adesso, dopo tre settimane di protesta silenziosa, ha finalmente deciso di scriverne su Facebook (se lo cercate è Fico Pasquale, cognome prima del nome, appunto). “Ho iniziato uno sciopero della fame per i seguenti motivi: assenza di fondi necessari per finanziare i decreti correttivi delle carriere dei Sottufficiali delle Forze Armate, assenza di risorse per il rinnovo del contratto economico/normativo per il personale contrattualizzato, nessuna risorsa stanziata per il personale impiegato nell’Operazione Strade Sicure e per chiedere che venga fatta una vera legge sul Sindacato Militare! Continuo ad oltranza in attesa di una risposta concreta del governo!”. Sotto, le foto della bilancia: dieci chili in meno. Centinaia i commenti di solidarietà. E uno della ministra. Per cambiare ci vuole tempo, scrive la Trenta. Dimenticandosi che i suoi avevano promesso di aprire dalla mattina alla sera tutte le scatolette di tonno che avessero incontrato sulla loro strada. Tutto il contrario di Fico Pasquale, cognome prima del nome, che se gli dicessimo di parlarci di lui forse risponderebbe come Bertoldo rispose al re che gli chiedeva “chi sei tu, quando nascesti e di che parte sei?”. “Io son uomo, nacqui quando mia madre mi fece e il mio paese è in questo mondo”.