“Facciamo che so’ scemo, me lo dicevano sempre a scola”. La battuta è di Christian Ferro (Andrea Carpenzano), il ventenne calciatore fantasista della Roma, senza diploma delle superiori, ma con tre milioni di euro netti all’anno di stipendio e una popolarità da idolo mondiale che sbanca la “capitale”. Un po’ Francesco Totti, un po’ Marco Delvecchio (per sembianze fisiche ed esultanza con mani dietro le orecchie) ecco il protagonista sul campo, negli allenamenti, in un appartamento da mille e una notte, e davanti ad un professore di storia e letteratura (Stefano Accorsi) che lo aiuterà a prendere la maturità, de Il Campione.
Lungometraggio d’esordio di Leonardo D’Agostini, prodotto da Matteo Rovere e Sydney Sibilia. Ottimo esempio di cinema “medio”, per nulla pretenzioso, culturalmente diretto, curato tecnicamente, e affidato ad un eccellente cast di attori (le seconde linee per facce, atteggiamenti, pari ai protagonisti) per attirare pubblico in sala senza troppi infingimenti autoriali.
Una tipologia di prodotto che l’industria cinematografica italiana sta provando con fatica a ricostruire (qui è Groenlandia di Rovere e Andrea Paris – Smetto quando voglio, Il primo re) e che merita un occhio di riguardo. Occhiolino, oltretutto, allo sport più bello del mondo, immerso nell’arena romana dei gladiatori dell’Olimpico. Così andiamo subito lì dove il dente duole. La rappresentazione del calcio al cinema. Ne Il Campione si parte subito a mille conferendo dignità da re, anzi imperatore, a Ferro, con una carrellata sui titoli di testa, di apprezzamenti smodati alla sua tecnica e alla sua classe da parte dei veri commentatori sportivi nazionali (Caressa, Pardo e compagnia). Peccato che Ferro abbia tutti i difetti del borgataro più dozzinale e sempliciotto, perfino l’idea che nonostante i soldi a palate si renda protagonista del furto di abiti da un negozio chic di un ipermercato facendo arrestare dai poliziotti che, oltretutto, gli chiedono un selfie. È la goccia che fa traboccare il vaso. Il presidente della Roma (Massimo Popolizio, incazzo paternalistico tra Dino Viola e Franco Sensi) pretende che il ragazzo prenda almeno il diploma di quinta superiore e si ripulisca questa immagine da coatto. Entra allora in campo il professor Fioretti, scelto tra i tanti aspiranti tutori personalizzati, proprio perché non sa nemmeno chi sia Ferro. Inizia così un rapporto fitto tra il ragazzo e il professore, fatto di guerre mondiali e rivoluzioni d’ottobre spiegate come fossero schemi di calcio alla lavagna. Incontro quotidiano che va costruito lontano dallo stordente e tentacolare villone con piscina, amici che giocano alla Play, fidanzatine sculettanti, e un padre ciondolante in vestaglia dedito solo a succhiare soldi a Christian.
Il Campione ricalca sì la traiettoria allievo/maestro vista nel divertente Scialla!, ma esce dal contesto tinello/salotto pedagogico per sfondare la quinta del fuori sociale, caotico e abbruttente. Non proprio un registro da commedia per D’Agostini, ma tanta drammaturgia eterogenea dall’iperstimolazione vipparola (discoteca, bolidi, belle donne, perfino verso la fine fiumi di coca) e una sorta di quesito etico/morale proposto sottotraccia per tutto il film che sfocia sul finale quando arriverà la megaproposta del Chelsea e il cuore giallorosso di Christian vacillerà. Chiaro che entrambi i protagonisti sopravvivono su ferite dell’anima che è meglio non descrivere, in modo da gustarsi meglio l’evolversi dello script (praticamente tutto al femminile: con D’Agostini ci sono Antonella Lattanzi e Giulia Steigerwalt), ma è proprio la sommatoria dei frammenti narrativi impostati con cura fin da plot a donare un buon equilibrio all’opera che anche grazie ad una colonna sonora ipermoderna, quasi astratta, mai didascalica (Ratchev e Carratello) tiene in tutta la sua durata.
Per chi si chiede quanto sia realistica la presenza di Ferro come campioncino d’oggi in mezzo al campo, diciamo che la messa in scena regge bene. L’aiuto dei veri ambienti di lavoro della Roma A.C. sono ovviamente cruciali (Trigoria, le maglie, la tribune dello stadio), ma è nelle pennellate di inquadratura sui match “veri”, lontane anni luce dalle sequenze kitsch dei gol di Aristoteles della Longobarda ne L’allenatore nel pallone, che Il Campione sa abilmente mimare la mancanza di vere partite con 80mila comparse attorno. Dettagli precisi su gambe e piedi di Ferro, dei suoi compagni e degli avversari; illuminazione e colorazione ipersatura da diretta tv; qualche ralenti; rapidi quadri d’insieme con il melting pot nominativo brulicante sulle magliette dei calciatori; il tutto frullato in post a livello di montaggio con encomiabile maestria come fossimo di fronte ad uno di quei servizi laccati e celebrativi modello Sky.
Insomma Il Campione convince, avvince, si cita addosso (in Accorsi che guida una delle macchine da corsa di Ferro e intravediamo Loris di Veloce come il vento), e soprattutto amalgama un cast di attori secondari che puntellano i protagonisti dandogli spesso scariche caricaturali efficacissime; si veda su tutti, proprio in un film su un calciatore dove non si evoca nemmeno il nome di un compagno di squadra: il procuratore di Ferro (Mario Sgueglia), la fidanzata ambita e voluta (Ludovica Martina), e la segretaria del presidente (Camilla Semino Favro). Accorsi, oramai quasi 50enne, sa stare di lato (letteralmente in almeno tre quattro sequenze chiave) osservando con il suo professore triste e disincantato che siano i ragazzi a recitare, ritagliandosi proprio per questo da un po’ tempo le interpretazioni migliori della carriera. Buffo il mister della Roma che litiga spesso con Ferro a ricordare la conflittualità Spalletti/Totti, anche se l’allenatore biascica frasi alla Fatih Terim. Infine, non dimenticate di seguire la presenza animalesca più gradita del film: un bellissimo maialino casalingo, specie di doppio simbolico del protagonista. Al cinema dal 18 aprile.