Il sospetto era venuto nel 2015 quando i finanzieri effettuarono una registrazione ambientale che aveva come protagonisti il commercialista di Giancarlo Galan e la moglie. Parlavano di soldi e di investimenti riconducibili all’uomo politico. Da allora gli investigatori veneziani stavano cercando il tesoro dell’ex ministro, ex parlamentare di Forza Italia ed ex governatore del Veneto. Per questo avevano avviato rogatorie internazionali, alla caccia dei soldi delle tangenti che ruotavano attorno al sistema politico veneziano del Mose e della Regione Veneto. Seguendo le tracce che partivano da una società di Galan hanno ora scoperto un sistema di evasione fiscale e di investimenti all’estero che ha portato a un sequestro di beni per 12,3 milioni di euro, eseguito dalla Polizia economico finanziaria di Venezia comandata dal colonnello Gianluca Campana. A ordinarlo è stato il gip veneziano David Calabria, su richiesta del pm Stefano Ancilotto. L’indagine riguarda, a diverso titolo, il riciclaggio internazionale e l’esercizio abusivo dell’attività finanziaria, relativo solo in parte al reinvestimento all’estero delle mazzette incassate da Galan, che assommerebbero a un milione e mezzo di euro, il vero “tesoro” dell’ex governatore che finì in carcere per corruzione, prima di patteggiare la pena.
Partendo dal sistema delle tangenti, gli investigatori hanno scoperto un elenco di alcune decine di imprenditori veneti che usufruivano di canali di investimento opachi e che non risultano indagati solo perché la movimentazione del denaro è stata prescritta o ha goduto dei benefici dello scudo fiscale. Tutto avveniva, secondo l’accusa, attraverso tre commercialisti padovani (e in parte anche la moglie di uno di loro) e due fiduciari italo-elvetici. I commercialisti sono Paolo Venuti, 62 anni, Guido e Christian Penso, di 78 e 51 anni. La donna è Alessandra Farina, 61 anni, moglie di Venuti. I fiduciari sono Filippo Manfredi San Martino di San Germano d’Agliè, 65 anni, originario di Torino, ma residente a Losanna, e Bruno De Boccard, svizzero di Friburgo.
Il sequestro riguarda l’importo che secondo la Finanza i commercialisti e i fiduciari hanno lucrato da un giro imponente di investimenti, in parte denaro riciclato, in parte movimentato senza che i due svizzeri avessero i requisiti per l’esercizio dell’attività finanziaria in Italia. Gli investimenti di natura immobiliare riguardano appartamenti di lusso a Dubai e fabbricati industriali in Veneto. I sequestri hanno colpito denaro depositato presso banche venete, due imprese e quote di società, nonché 14 immobili in Veneto e in provincia di Sassari, in Sardegna.
All’origine di tutto c’è l’accordo tra Galan e Venuti, che era già stato indagato e processato per lo scandalo Mose, patteggiando la pena. Di quell’accordo i commercialisti Penso, accusati di riciclaggio, sarebbero stati informati, acquistando le quote di “Adria Infrastutture”, società di Galan, tramite la società Penso-Venuti-Penso. Secondo l’accusa “erano consapevoli dell’effettiva titolarità in capo a Galan” di quelle azioni e avrebbero messo a disposizione conti correnti in Svizzera, intestati a società di Panama e Bahamas, gestiti da due fiduciari elvetici. E’ così che un milione e mezzo di euro di Galan sarebbe finito in Croazia, in un conto corrente intestato alla moglie di Farina, in una banca di Zagabria. Il periodo? Dal 2009 al primo semestre del 2015 quando scoppiò lo scandalo Mose. Ovviamente del denaro non è più stata trovata traccia.
Ma questo è solo il primo filone di un’inchiesta che svela le enormi disponibilità di denaro dell’imprenditoria veneta. Perché la Finanza ha scoperto che ai fiduciari San Martino e De Boccard si rivolgevano decine di facoltosi operatori del Nord Est. I due “commettevano esercizio abusivo dell’attività finanziaria con reiterata illecita raccolta e gestione di investimenti, anche sotto forma di intestazione fiduciaria non autorizzata”. E qui entra in scena il sistema “off shore” che le Fiamme Gialle di Venezia hanno ricostruito con pazienza, attraverso conti esteri intestati a società olandesi, svizzere, romene, panamensi, di Curacao e delle Bahamas. Una di queste società era stata aperta tramite lo studio Mossak & Fonseca, un nome noto alle cronache perché emerso nell’ambito dei “Panama Papers”.