Non ci sono solo i soldi di Giancarlo Galan nel maxi sequestro eseguito dal nucleo di Polizia economica e finanziaria di Venezia. Ci sono anche circa 12 milioni di euro che commercialisti e promotori finanziari avrebbero lucrato dalle attività in nero o in violazione delle norme fiscali da parte di una ventina di imprenditori veneti, un “giro” di circa 70 milioni di euro che sono stati in buona parte coperti dallo “scudo fiscale” del 2009 o che sono sanati dalla prescrizione.

Per il riciclaggio del milione e mezzo di euro attribuito a Galan e finito in Croazia, i professionisti avrebbero guadagnato 320mila euro. Tutto il resto riguarda le movimentazioni degli imprenditori. Un filone scottante, non tanto per le conseguenze fiscali anestetizzate da scudi e condoni, ma per i nomi coinvolti. E comunque la semplice punta di un iceberg, se si pensa alla ricchezza prodotta nel Nord Est. I finanzieri scoprirono la lista degli imprenditori quando si recarono nell’ufficio di Bruno De Boccard, in Svizzera. A lui, ma anche a Filippo Manfredi San Martin o di San Germano d’Agliè, si erano affidati parecchi industriali veneti, nel tentativo di mettere al sicuro i propri guadagni. Peccato che i due avessero esercitato in modo abusivo l’attività finanziaria. Le posizioni sono molte e diversificate.

Damiano Pipinato è titolare della padovana Pipinato Calzature. Si era affidato allo studio padovano Penso-Venuti (dei commercialisti Paolo Venuti, Christian e Guido Penso) e ai fiduciari svizzeri per accantonare all’estero qualcosa come 37 milioni e mezzo di euro, attraverso società dei Paesi Bassi (Brookhimes e Aureum) e di Curacao (Brookhimes e Silversteen), e per far rientrare in Italia il denaro “attraverso sofisticati strumenti di investimento”. Così le autorità italiane non erano riuscite a capire chi fosse il titolare effettivo di quelle somme gestite da società (Porciglia, Cimeroy, Orden Properties) e anche da una persona fisica residente all’estero. Il patrimonio gestito è costituito da una palazzina a Padova del valore di 3 milioni e mezzo di euro, dal capannone sede di Mediaworld a Padova del valore di due milioni di euro, affittato con un canone di circa 6 milioni e mezzo dal 2006 al 2017, e dal capannone di Pipinato Calzature. C’è poi il riciclaggio di 8 milioni di euro “provento di evasione fiscale”, finiti nei paradisi off shore, prima di approdare a Dubai. Sempre nel paese arabo sarebbero stati gestiti altri 25 milioni di euro “di provenienza nazionale e già finiti in Svizzera”.

I finanzieri San Martino e De Boccard sono accusati di aver raccolto “in violazione delle norme antiriciclaggio” almeno 30 milioni di euro ricevuti da facoltosi imprenditori (che hanno in buona parte “scudato” le somme e che quindi non sono indagati). Ecco l’elenco: gli immobiliaristi Flavio e Mattia Campagnaro (5 milioni di euro); Sergio Marangon (un milione 200 mila euro); gli immobiliaristi Roberto e Luca Frasson (un milione e mezzo di euro); l’imprenditore agricolo Primo Luigi Faccia (250 mila euro); gli imprenditori delle calzature Ignazio e Filippo Baldan (250 mila euro); l’industriale delle valigie Giovanni Roncato (13 milioni e mezzo di euro); il produttore di giochi Mauro Mastrella (800 mila euro); il professionista Agostino Crisanti (importi non precisati); il produttore di scarpe d’alta moda Renè Fernando Caovilla (2 milioni 287 mila euro); l’albergatore veneziano Odino Polo (un milione di euro); gli albergatori padovani Mariarosa e Stefano Bernardi (3 milioni di euro); l’albergatore padovano Giovanni Gottardo (500 mila euro). Altri quattro imprenditori sono stati identificati, ma non è stato possibile quantificare l’illecito. Si tratta di Vittorino PamioGiuseppe VecchiatoLino e Luca Barillari.

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