Liste di attesa infinite, reparti fatiscenti o chiusi per mancanza di autorizzazioni, condizioni igieniche indegne e prevenzione oncologica ai minimi termini. Lo scontro sul commissariamento (che rimane) riaccende i riflettori sulla condizioni della assistenza nella Regione. Dove i conti sono tornati in pari, ma tutti gli indicatori segnano la differenza con il resto del Paese
Al momento non ci sono le condizioni perché la sanità nella Regione Campania esca dal commissariamento. Questa la conclusione a cui si è giunti al termine del tavolo di monitoraggio congiunto tra il ministero dell’Economia e il ministero della Salute, dove il governatore Vincenzo De Luca ha illustrato gli obiettivi raggiunti con il piano di rientro. Ospedali pubblici chiusi, posti letto insufficienti e un blocco del turn over che ha lasciato le strutture in costante carenza di organico riducendo di oltre 45mila unità in otto anni il personale della sanità pubblica, da medici a infermieri, da ostetriche a radiologi. E ancora, liste di attesa infinite, reparti fatiscenti, condizioni igieniche indegne e prevenzione oncologica ai minimi termini, anche nella Terra dei fuochi. Così è ridotta la sanità pubblica in Campania, come dimostrano le immagini delle continue invasioni di formiche al San Giovanni Bosco di Napoli, dove a gennaio 2019 è anche crollato il soffitto della sala parto. Sempre in tema di crolli, ci sono i recenti cedimenti nell’antico complesso che ospita l’ospedale Incurabili, nel centro antico della città. Colpa certamente di una situazione complessa e di carenze trascinate per decenni, ma anche dei tagli alla spesa sanitaria apportati negli ultimi anni proprio con l’obiettivo di uscire dal piano di rientro con cui la Regione fa i conti da un decennio. Spending review necessaria a causa di un debito da nove miliardi di euro che ha portato nel 2010 al commissariamento della sanità regionale, attualmente nelle mani del governatore Vincenzo De Luca. Eppure, secondo il Movimento 5 stelle, i tagli hanno peggiorato la situazione, facendo pagare un conto troppo alto alla sanità (e ai pazienti). Sia in termini di qualità dell’assistenza, sia in termini economici.
ALLA RESA DEI CONTI – Non la pensa così il governatore del Pd. Presso la sede del Ministero dell’Economia e delle Finanze, al tavolo di verifica del piano di rientro della sanità la Regione ha portato i risultati fin qui raggiunti. In primis, quella che è sempre stata la nota dolente: i Lea, livelli essenziali di assistenza. Erano a 105 nel 2015 (la legge impone il livello minimo di 160), 124 nel 2016. A marzo 2019 il ministero della Salute ha pubblicato i risultati della Griglia Lea 2017: peggio della Campania (con 153 punti) ha fatto solo la Calabria (136). Ora, però, la Regione attendeva la certificazione del livello 163. De Luca ha messo sul tavolo anche il consolidamento da cinque anni del pareggio di bilancio. Sono stati confermati, come comunicato dalla stessa Regione “l’equilibrio finanziario raggiunto dalla sanità campana e il superamento della soglia prevista per i Lea, che sarà formalizzato, sul 2018, come accade per ogni annualità, al termine del primo semestre di quest’anno”. E mette sul tavolo il consolidamento da cinque anni del pareggio di bilancio. Per l’Ente si tratta di risultati ottenuti con sacrifici e si guarda al bicchiere mezzo pieno, ossia allo sblocco del turn over con la ripartenza delle assunzioni.
LA PARTITA DEL COMMISSARIO –De Luca puntava così all’uscita dal piano di rientro, che avrebbe significato il ritorno alla normale autonomia dell’Ente nel settore della Sanità. Niente di fatto su questo fronte, mentre resta più che mai aperta la partita sulla gestione, dopo la richiesta del Movimento 5 Stelle e del ministro della Sanità Giulia Grillo (che ha definito ‘indifendibile’ la gestione della sanità in Campania) di nominare al più presto un nuovo commissario, anche in forza della norma che ripristina l’incompatibilità con il ruolo di governatore. Una richiesta bloccata dal viceministro dell’Economia Massimo Garavaglia.
LA SANITÀ IN CAMPANIA – Questione economica a parte, è innegabile che oggi la sanità pubblica campana faccia acqua da tutte le parti. Non c’è solo il problema degli ospedali chiusi e di quelli (almeno la metà) che non rispettano i requisiti minimi per assicurare qualità e sicurezza delle attività. L’ultima pietra dello scandalo è l’inchiesta per assenteismo che ha coinvolto il ‘San Rocco’ di Sessa Aurunca, nel Casertano, chiuso d’urgenza proprio per mancanza dell’autorizzazione all’esercizio. La verità è che almeno il 50 per cento degli ospedali della Campania non rispetta tutti i requisiti minimi previsti dalla legge. A febbraio 2017 erano stati assegnati i fondi per i lavori di ristrutturazione e adeguamento edilizio della rete ospedaliera e territoriale pubblica in Campania. Come denunciato dal Movimento 5 Stelle, “le risorse assegnate alla Regione sulla base dei riparti effettuati dalle delibere Cipe non sono state utilizzate”. Ed è la stessa Corte dei Conti a registrare che la Campania ha speso solo un terzo degli 1,7 miliardi circa attribuiti per l’edilizia sanitaria, cioè 535 milioni. Il risultato? Solo quindici mesi, a gennaio 2018, l’ex presidente dell’Istituto Superiore di Sanità Walter Ricciardi affermava, nel corso della trasmissione televisiva PresaDiretta che, se il Sud d’Italia occupa l’ultimo posto in Europa in termini di aspettativa di vita, la zona di Napoli è in assoluto “la peggiore dove nascere” con un gap di otto anni rispetto ai Paesi dell’Unione.
I LIVELLI ESSENZIALI DI ASSISTENZA – Non è un caso se a ottobre scorso, nel giudizio di parificazione del rendiconto generale della Regione (relativo agli esercizi finanziari 2015 e 2016), la sezione regionale di controllo della Corte dei conti ha riscontrato che, se da un lato i conti erano tornati in ordine, dall’altro i Livelli essenziali di assistenza erano rimasti “nettamente al di sotto della soglia di adempienza”. E ha ricordato: “La condizione per uscire dal commissariamento o dal piano di rientro non può essere solo quella dell’equilibrio di bilancio”.
CHI HA PAGATO IL CONTO – A luglio 2018, durante un tavolo tecnico tra Governo e Regione, è stata scattata la fotografia di una sanità al collasso, come riportato dai verbali ministeriali. “Che pure i cittadini pagano a caro prezzo, tra ticket, superticket (una quota fissa di 10 euro per ricette sulle visite specialistiche) e le addizionali regionali più alte” ha più volte denunciato la consigliera regionale del Movimento 5 Stelle Valeria Ciarambino. Spese a cui si aggiungono quelle per la mobilità sanitaria che costringe i cittadini a farsi curare nelle strutture del Nord. Negli ultimi anni, infatti, i viaggi in altre regioni hanno continuato a crescere, facendo accumulare alla Campania 302 milioni di euro di debiti. Peggio, anche in questo caso, è messa solo la Calabria con un saldo negativo di oltre 319 milioni di euro. L’alternativa sono le strutture private sul territorio, ma non tutte offrono prestazioni in regime di convenzione. C’è anche questo dietro i conti in attivo con un avanzo medio annuo di 19 milioni nel biennio 2016-2017.
LE CARENZE NELL’ASSISTENZA – E ci sono una serie di carenze nei servizi e nell’assistenza, come documentato in un verbale ministeriale redatto dopo il tavolo tecnico svoltosi a luglio. A iniziare dagli screening oncologici, e dai problemi legati alla prevenzione, ma anche all’organizzazione e al frazionamento dei percorsi diagnostici per le neoplasie. Tutto ciò proprio nella Terra dei fuochi. Sui ricoveri ospedalieri, invece, l’indicatore registrato era di 269,7 per mille anziani, in eccesso rispetto al valore medio nazionale (pari a 265,3), mentre il tempo di arrivo del primo soccorso nella rete dell’emergenza (20 minuti nel 2017) è superiore alla soglia ritenuta adeguata. Altro punto debole sono le prestazioni acquistate dai privati, con una produzione (rispetto ai tetti di spesa 2017) maggiore di 128 milioni di euro tra assistenza ospedaliera, specialistica ambulatoriale e assistenza riabilitativa. A questo si aggiunge che la Regione Campania è al primo posto per morti evitabili e non ha una rete Stroke, una rete trauma e una rete per le emergenze materno infantili. L’unica rete attivata per patologie tempo-dipendenti è quella cardiologica. Solo il 10% dei pazienti colpiti da ictus ha accesso a cure efficaci. Secondo gli ultimi dati dell’Istituto superiore di Sanità (marzo 2019), la Campania è anche la prima regione italiana per mortalità materna. A commentare per prima l’esito del tavolo è stata proprio Valeria Ciarambino: “Oggi al tavolo ministeriale è stato certificato che per far rientrare i conti e mettere le carte a posto De Luca ha messo in atto un’operazione esclusivamente contabile che ha contribuito a negare, giorno dopo giorno, il sacrosanto diritto alla salute ai cittadini della Campania. Il commissariamento deve dunque proseguire e la Lega se ne faccia una ragione”.