Ogni libero pensatore che abbia in spregio la censura dovrebbe sentirsi colpito dall’arresto di Julian Assange. Un atto che fotografa un dato strutturale del consesso sociale: gli uomini che siedono su verità scomode, perché dicono di verità interrate che testimoniano legami non chiari tra parti formalmente antitetiche, hanno vita breve. Secondo Slavoj Žižek il kinico è colui che “mina coscientemente gli apparati dell’ideologia dominante, al fine di esporre gli interessi corrotti che si celano dietro le dichiarazioni ideologiche”. Il cinico invece è un fedele custode del malaffare e dell’illegalità nascosta che protegge dalla luce, le cui incolumità è garantita dai segreti che costudisce. Si pensi al motto “libertatem silendo servo” dell’organizzazione Gladio, che per anni ha vigilato, oscurandolo, su di un patto scellerato tra Stato ed eversione. Strappare il velo su verità nascoste, su legami occulti tra legge e malaffare, svelare violazioni dei diritti umani: questo è ciò che ha fatto Assange.

Questo uomo ha diffuso le risate dei militari americani che irridevano l’uccisione di 15 civili a Baghdad, ha svelato le torture inflitte ai prigionieri di Guantanamo, ha penetrato e diffuso i segreti di Scientology, le bufale di eminenti scienziati che mentivano sull’aggravamento delle condizioni climatiche globali, ha fatto infine sapere a milioni di americani che erano spiati. Lui, Edward Snodwen, il carabiniere che ha raccontato del pestaggio Cucchi: testimoni dei cunicoli nei quali la legalità sfuma e sversa in canali deviati che vanno incontro a una fine precoce, perché ingenuamanmte illusi che la loro azione di denuncia non potesse che ottenere il plauso della società , certi del valore rivelatore del loro agire, convinti che lo scandalo svegli le coscienze. Proprio come uno dei personaggi di Dostoevskij quando afferma: “Sapete che vi dico? Io sono convinto che noialtri uomini del sottosuolo, dobbiamo essere tenuti al guinzaglio. Siamo capaci di starcene magari per quarant’anni rinchiusi in silenzio, nel sottosuolo., ma se una volta riusciamo a liberarci e a tornare alla luce, allora cominciamo a parlare, parlare, parlare”. Chi decreta la loro condanna è una società che si fonda sul non volerne sapere, ancora prima che gli Stati censori. Come scrissi, la gente non è pronta a sopportare certe verità.

Una delle parole chiave delle democrazia digitale, “la gente vuole sapere!“, contiene un malinteso e un limite. Se a una conferenza sul traffico di organi il relatore mostrasse gli intrecci nascosti tra Stati e associazioni criminali, ciò provocherebbe lo sdegno della sala, la quale chiederebbe a gran voce di fare i nomi dei colpevoli. Perché la gente, vuole sapere. A un incontro sulle sofisticazioni alimentari dei prodotti delle nostre tavole, la platea reclamerebbe a gran voce l’elenco delle multinazionali incriminate, per boicottarle. Perché la gente, vuole sapere. Ma se in un pubblico consesso un relatore descrivesse la fine miseranda che fanno i bambini che estraggono il coltan, necessario al funzionamento del tablet, spiegando quanto i telefoni di tutti i presenti all’incontro siano il frutto di un traffico mortale , l’umore della platea muterebbe. Non reclamerebbero i nomi delle aziende incriminate, attendendo piuttosto con impazienza che quel tizio finisca di esporre cose che tutti loro conoscono, ma sulle quali non vogliono sapere più di tanto. Per questo la fine di Assange ha messo d’accordo tutti.

Syme diceva a Winston “Noi le parole le distruggiamo, a dozzine, a centinaia. Non capisci Winston che lo scopo principale a cui tende la neolingua è quello di restringere al massimo la sfera d’azione del pensiero? (…) il pensiero non esisterà più, almeno non come lo intendiamo ora. Ortodossia vuol dire non pensare, non aver bisogno di pensare. Ortodossia ed inconsapevolezza sono la stessa cosa”. L’ignoranza, a volte, fa vivere meglio. È questo che Assange ha pagato.

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