L'Esercito fedele al generale ha conquistato la città a 50 chilometri dalla capitale. Bombardamenti anche nel quartiere di Ain Zara e sulla base militare di Rahbet Al-Deroua nella zona di Tajoura. Poi la controffensiva delle forze lealiste. L’Ufficio Onu per gli Affari umanitari ne descrive le conseguenze: "Gli scontri impediscono la fuga, crescono le vittime civili, anche medici"
Si fa sempre più cruenta la battaglia alle porte di Tripoli tra le forze fedeli al governo internazionalmente riconosciuto di Fayez Al Sarraj e quelle di Khalifa Haftar. Il decimo giorno dell’offensiva lanciata alla capitale dall’uomo forte della Cirenaica è stato segnato da violenti scontri lungo l’asse a sudovest della capitale. Dopo una notte di combattimenti, i soldati della Libyan National Army hanno sfondato le linee avversarie, avanzando a colpi di artiglieria, missili Grad e sostenuti dai raid aerei. Due le zone conquistate per diverse ore: quella di Suani ben Adem, 25 km a sudovest di Tripoli, e quella di Aziziya, una trentina di chilometri più a sud, lungo la direttrice che conduce a Zintan e Gharyan.
Dopo ore di battaglia, lanci di razzi e vittime, soprattutto civili – almeno cinque gli uccisi, tra i quali una donna incinta – le milizie di Tripoli hanno lanciato il contrattacco e respinto i nemici a Suani ben Adem. Nel primo pomeriggio dal centro della cittadina si levavano dense colonne di fumo nero. Le truppe di Haftar sono state costrette alla ritirata, lasciando diverse unità di fanteria lungo la linea di un fronte frastagliato, lontane dalle retrovie. I soldati, a corto di munizioni, sparavano contro i tuwar nel tentativo di aprirsi una via di fuga.
I soldati che difendono la capitale sono poi avanzati anche su Aziziya, strappando parte della città agli avversari. Sul campo, hanno riferito fonti attendibili, sono arrivate anche le temibili milizie di Zintan, protagoniste della cacciata di Muammar Gheddafi da Tripoli nel corso della rivoluzione del 2011 e pronte ora a combattere per la difesa della capitale.
Il bilancio dall’inizio dell’offensiva, il 4 aprile, è di almeno 100 morti, tra i quali 28 bambini, hanno fatto sapere fonti mediche. Decine e decine di famiglie sono bloccate tra due fuochi: moltissime le telefonate strazianti dalle zone di combattimento che arrivano ogni giorno al centro di emergenza di Tripoli. Soprattutto donne, che chiedono cibo, acqua oppure “qualcuno che ci venga a prendere”. In un conflitto fatto di imboscate e raid, senza una linea di fuoco definita, che ha provocato oltre 13.500 sfollati in dieci giorni, scrive l’Ufficio delle Nazioni Unite per gli Affari umanitari (Ocha) in un aggiornamento sulla situazione nei dintorni della capitale, precisando che 4mila sono le persone che hanno lasciato le proprie case solo nelle ultime 24 ore.
“La comunità umanitaria è preoccupata per il numero crescente di vittime civili, compreso il personale medico. In appena una settimana, tre medici sono stati uccisi e cinque ambulanze sono state rese inservibili da schegge di proiettili”, si legge nella nota. L’Ocha informa che altre 4500 persone circa hanno richiesto l’evacuazione dalle aree colpite dal conflitto, ma solo per 600 è stato possibile garantire un’uscita sicura: “I bassi tassi di evacuazione sono dovuti agli scontri in corso e le segnalazioni sul targeting indiscriminato e deliberato dei veicoli per le ambulanze”. Il meccanismo di risposta rapida in Libia è stato attivato l’11 aprile – si legge nella nota – e in due giorni ha già raggiunto 2mila persone con un pacchetto base che include kit per l’igiene, razioni di cibo e altro materiale.
Ad Ain Zara, altro fronte caldo a soli 15 km a sudest della capitale, una scuola elementare deserta è stata centrata da un raid di Haftar. Non ci sono state vittime, ma le bombe piovute dal cielo hanno terrorizzato i tanti rifugiati presenti nell’area, che nei giorni scorsi hanno trovato riparo proprio in edifici pubblici attualmente chiusi.
I militari di Tripoli hanno l’ordine di limitare la potenza di fuoco, evitare vittime e distruzioni. “Combattiamo per la nostra terra, per tutti i libici. Per questo sino ad oggi siamo ancora rimasti sulla difensiva: anche i soldati di Haftar sono nostri compatrioti”, ha detto all’Ansa il generale Abuseid Shwashli, al comando della regione del distretto sudovest. “Quelli di Haftar hanno armi più moderne, ma non le sanno usare. Sono soprattutto reclute, meno del 20% delle loro forze ha esperienza, e combattono per lo stipendio oppure perché sono costretti”, ha sottolineato Shwashli, mentre nel suo quartier generale pezzi di artiglieria pesante vengono tirati a lucido, pronti all’uso se da Tripoli partisse l’ordine di un attacco massiccio. “Se dovesse arrivare quell’ordine, saremmo costretti a fare terra bruciata”, ha detto ancora il comandante.
Nel centro di Tripoli, per il momento, arrivano solo gli echi delle battaglie che si combattono alle sue porte. Il sole al tramonto illumina le lunghe code di auto ai distributori a caccia di benzina: l’unica vera immagine di guerra nella capitale in queste ore cruciali per il destino della città, e di tutta la Lib