Vince la volontà della piazza. Dopo il colpo di stato di giovedì 11 aprile che aveva costretto alle dimissioni il presidente Bashir al potere da 30 anni, l’esercito del Sudan aveva annunciato un “consiglio militare” per 24 mesi. Ma le proteste erano continuate, anche dopo la promessa di un governo di transizione “civile”. Ciò che la piazza voleva erano le dimissioni del nuovo leader, vicepresidente e ministro della Difesa, Awad Ibn Ouf. Così è stato: nella serata di venerdì 12 aprile Ibn Ouf ha lasciato l’incarico di leader della transizione comunicando la decisione in televisione. A Khartoum sono iniziati i festeggiamenti. E l’Associazione dei professionisti sudanesi – sindacato non riconosciuto dal governo che ha coordinato le proteste di questi giorni – ha fatto sapere che “l’abbandono del generale Awad Ibn Ouf è una vittoria della volontà popolare“.
Al suo posto si è insediato il generale Abdel Fattah el Burhan, recentemente nominato da Bashir comandante delle forze armate di terra, che ha prestato giuramento come presidente del consiglio di transizione. Consiglio che però non estraderà l’ex presidente Bashir: estradarlo “sarebbe un brutto marchio per il Sudan“, ha spiegato il generale Abedeen in una conferenza stampa.
Il ritratto del nuovo presidente
Il nuovo presidente Abdel Fattah Burhan, 60enne già comandante delle guardia di frontiera e incaricato militare in Cina, non sarebbe legato ad alcuna forza o organizzazione politica, come riferiscono fonti a lui vicine. Inoltre è l’unica figura militare di spicco a non essere finita nel mirino della Corte penale internazionale dell’Aja, che ha accusato invece il deposto presidente Omar al-Bashir di crimini di guerra e contro l’umanità in Darfur. Una settimana fa, Burham è sceso in piazza per incontrare i manifestanti e dialogare. E infatti le sue prime parole da presidente prima di incontrare alcuni manifestanti sono proprio rivolte alla concordia nazionale: “Invito tutto il popolo del Sudan, compresi i partiti politici e i gruppi della società civile, a prendere parte al dialogo”. A queste è seguito l’annuncio della fine del coprifuoco notturno, indetto giovedì dall’esercito ma violato per due notti dai manifestanti. È stata inoltre disposta “la liberazione di tutti i detenuti arrestati in base alla legge d’emergenza e di tutte le altre leggi concernenti le ultime manifestazioni”.
Dialogo con tutte le entità politiche
Il dialogo resta la necessità fondamentale: il Consiglio militare di transizione – ripudiando la definizione di “golpe” per quanto accaduto – ha infatti assicurato che parlerà con “tutte le entità politiche” del paese e che il futuro governo sarà “civile”. “Dialogheremo con tutti per preparare la situazione al cambiamento e alla realizzazione delle nostre aspirazioni”, ha dichiarato infatti il generale Omar Zinelabidine. Lo stesso consiglio – come riporta l’agenzia ufficiale SUNA citata da Al Jazeera – ha chiesto a tutte le “forze politiche” del paese di nominare due rappresentanti per un dialogo sulla transizione del paese. Dialogo chiesto anche dalle Forze di Reazione Rapida: il generale Mohamed Hamdan Daqlu ha domandato di “riconsiderare la Costituzione attraverso un comitato editoriale che comprenda tutte le forze sudanesi” per arrivare poi a nuove elezioni.
Le dimissioni
Consultazioni che dovranno ora ridefinire tutti gli incarichi dei componenti della giunta: l’Associazione dei professionisti sudanesi ha infatti scritto che, oltre al leader Awad Ibn Ouf, si è dimesso anche il suo vice Abdelmarouf al-Mahi. I due militari erano gli unici nominati nel Consiglio di transizione ma, secondo quanto scrive Reuters, erano entrambi legati agli islamisti.
In particolare, l’ormai ex vicepresidente Auf è accusato di essere il tramite fra il passato governo e la famigerata milizia dei Jajaweed, i “diavoli a cavallo” distintisi per atrocità in Darfur, regione a sud-ovest del Sudan. Inoltre Auf era stato sanzionato dagli Usa che nel 2007 hanno congelato i suoi beni in America. Washington aveva anche vietato ai cittadini di fare affari con lui.
Legato all’Islam e ad Al Qaeda è anche Salah Abdallah Gosh, capo dell’intelligence che si è dimesso stamani. Gosh in passato – stando al New York Times – fornì proprio informazioni alla Cia sull’organizzazione terroristica.
“Bashir non sarà estradato”
Il nuovo Sudan che si sta formando dovrà insomma fare i conti con il suo passato e con la guerra civile, terminata nel 2005 con la costituzione del Sudan del Sud. Le autorità militari hanno però annunciato che eviteranno di estradare il deposto presidente Omar al-Bashir alla Corte penale internazionale che lo ricerca per il genocidio di 300mila uomini in Darfur. L’ormai ex-leader verrà processato in Sudan. Il generale Abedeen ha prospettato tuttavia la possibilità che la consegna alla corte dell’Aja venga decisa da un futuro governo civile. Governo che potrebbe entrare in carica prima della fine dei due anni di transizione prospettati.
Le vittime
Intanto è stato comunicato che nei tentativi di sgombero prima del golpe sarebbero comunque morte 27 persone, un quarto di tutte le vittime della repressione avvenuta da dicembre. A queste si aggiungono 13 persone uccise giovedì scorso e altre 3, tra cui un soldato, venerdì. Lo ha comunicato un’organizzazione affiliata dell’Associazione dei professionisti sudanesi che ha anche scritto che questi ultimi “sono morti nelle mani delle forze del regime e delle sue milizie ombra”. La polizia sudanese invece ha comunicato che 16 uomini sono morti per “proiettili vaganti”.