La "Sindrome da Salone”, il “Fear of missing out” con effetti collaterali di stress e ansietà per l’esclusione dagli eventi che contano. Al concerto di Ludovico Einaudi non si sentiva una mazza. Dalla televione che si arrotola, alla casa/cerniera. E’ richiesta una soglia d'ingresso alta, sostanziale, culturale e di linguaggio altrimenti si capisce poco delle installazioni.
Se non sei del ramo o un vero design-addicted non sai dove andare e spesso nemmeno capisci che cosa stai vedendo. Oppure devi avere un pacco batterie di riserve per lo smartphone, perché prima ancora di chattare, fotografare, eccetera, devi smanettare tutto il giorno coi “qr code” (l’acronimo qr sta per quick response).
Le installazioni quest’anno erano tutte un’ interagire con il pubblico. Gli oggetti parlano, dice una signorina all’ingresso di uno dei tunnel nero nero di Ventura Centrale. Si vabbè, ma noi non li capiamo. Ogni brochure è un elenco di banalità: esperienza sensoriale, balletto di luce, il design esce dalla gabbia della funzionalità per diventare emozione, emozione a noi… Ogni installazione è una sinergia di brand, troppi, impossibile citarli tutti senza fare torto a nessuno. Quelli che non hanno la pazienza di scaricare materiale dai codici a barre tornano a casa con chili di carta e cartone. Cosa farne? Suggerisco un’installazione di riciclato come la mise en scene “Help” nel cortile d’onore della Statale realizzata con bottiglie di plastica recuperate in mare. I frammenti di plastica che ancora galleggiano negli oceani, qualche migliaio di tonnellate, formerebbero un’arcipelago di isole, le Garbage islands. Da Yamaha il pianoforte diventa a muro. Sempre negli hangar di Ventura Centrale, il polo della creatività made in giap, ci ricordano che il vetro si fa 3D, con una stampante altamente performante ce lo possiamo fare anche da noi. Addio ai soffiatori di Murano, categoria in estinzione. Dalla televisione che si arrotola, alla casa/cerniera. Dai gioielli scomponibili dell’artista napoletana Michela Bruni Reichlin che brillano come quelli di Bulgari alle creme miracolose dentro cofanetto di design (of course) Linda Kristel, sì un omaggio alla diva di Hollywood.
Visto che si vive interconnessi nell’hangar di Freitang tentativo di socializzazione: il visitatore è invitato a scrivere su un pezzo di carta il suo peccato contro l’ambiente, poi entra in una sorta di confessionale e parla (attenzione non chatta) con il suo vicino e si promettono di fare di più “to save the planet”.
Se si sono piaciuti vanno a bersi, next door, un caffè gratis da Lavazza, spruzzato di polvere d’oro alla cannella e servito in un mega caveau dove le confezioni della qualità oro formano montagne di lingotti.
Milano sta diventando una metropoli internazionale e, durante il Salone, salvo alcuni casi, di una mondanità, nient’affatto cafonal, ma molto mista, dove si mescolano gli chic, gli snob e gli hipster con grande libertà. Dicevamo che bisogna avere un tasso di scolarizzazione medio/alto per capire l’installazione che ci sta davanti. E da un punto di vista della classe sociale apparente anche nei look c’è l’ostentazione di quella che un sociologo americano definiva la “negligenza intenzionale” delle seconde e terze generazioni borghesi.
Ancora non è stato diagnostico, ma prima o poi ci arriveranno a descrivere quello stato di stress del volere essere ovunque, “ Sindrome da Salone”, gli americani l’hanno già bollata come il “Fear of missing out” con effetti collaterali di stress e ansietà per l’esclusione dagli eventi che contano.
Si annunciano per l’anno prossimo nuovi design district in città, alle 5 Vie ci voleva un aprifolla per farsi un varco. Intanto cresce la community degli anti-salonisti: non ci metto più piede. La Design Week vittima del suo stesso successo? Non era mai successo prima. Troppi eventi, troppa gente, addetti ai lavori e curiosi. Bellissimi oggetti, ma anche tanta roba inutile. Per entrare a Palazzo Litta Modigliani, circa diecimila ingressi al giorno, ci si fa la fila e poi un’altra ancora per ammirare marmi e pietre laviche intarsiate come fossero tappeti di Lithea, made in Messina, quando l’artigianato incontra la tecnologia. E arazzi al muro che invece sono i tessuti dei kimono.
Si considera che l’anno scorso, nei giorni del Salone, sui mezzi pubblici di Milano sono stati registrati 8 milioni di passaggi al giorno, ovvero 8 milioni di timbrature di biglietti, abbonamenti, ecc. E se il salone collassasse in un buco nero, un po’ come Medea che mangia i suoi figli?
Abbiamo sofferto nel vedere meravigliosi olivi, tagliati, imprigionati dentro un ovale per farci sedere turisti sfiniti e fare finta di allestire uno spazio eco/friendly davanti alle vetrine della Rinascente.
È l’artista classico più ascoltato in streaming, eppure al concerto del Fuori Salone di Ludovico Einaudi non si sentiva una mazza. Ingresso libero per tutti, non era vero, transenne e sbarramenti hanno lasciato gran parte del piazzale dell’Arco della Pace vuoto. La musica del maestro era sopraffatta dai decibel di Parco Sempione. Consigliamo la prossima volta ad Audi Lab di studiare un impianto d’amplificazione all’altezza dell’evento.
I giornali non si leggono più e così un’edicola abbandonata viene ridipinta rosa confetto. “Siete artisti?”, chiedo. “No, siamo designer”, rivendicando l’appartenenza. Gallo, le calze in filo di Dcozia più amate dai milanesi, nel temporale store di via Tortona si illuminano di led e fanno tendenza.
Fa food disegn anche il raviolone Rana ripieno di ognibendidio, servito nel temporary restaurant (peccato chiuda con il salone) sotto una pioggia di glicini in fiore allestito da Antonio Marras nel suo atelier. Scampoli di stoffa di sfilate, piatti e totem di ceramica artigianale pugliese, Marras recupera anche i pezzi rotti e gli dà una seconda vita.
Il lavoro non si trova e per chi l’ufficio ce l’ha almeno che sia “smart”. Il mega progetto di “The Evolution of Workspace” a cura di Elle Decor a Palazzo Bovisa rimane aperto fino al 18 aprile. Così dovrebbero far tutti. Due, tre giorni in più di allestimenti da regalare ai milanesi e alle scolaresche. E non solo disagi alla città.
Ho visto una vecchina in fila per un’ora per mettersi a giocare con voce e mani con la Resonance Samsung. Un’ altra con occhioni sgranati davanti al televisore LG che si arrotola. Che il salone sia anche un gioco ce lo ricorda Barnaba Fornasetti che fa accogliere i suoi invitati da un giocoliere su un mega cubo.
Aspettiamo adesso la spinta (quella vera) al made in Italy.
Instagram: januaria piromallo