FATTO FOOTBALL CLUB - C'erano una volta i "mussi volanti" di Marazzina e Corradi, con Del Neri in panchina: una banda di semi sconosciuti partita dalla terza categoria per conquistare l’Europa. Oggi quel miracolo è finito per sempre. E non tanto per la poco decorosa retrocessione in cadetteria (appena 11 punti conquistati), bensì per l'indagine della scorsa estate, l’inchiesta della Procura Figc, il doppio processo e infine una sanzione molto soft. Un paradigma perfetto per il nostro calcio malato, in cui i veronesi rappresentavano una bellissima anomalia
C’era una volta la “favola Chievo”. Chi ama il calcio se la ricorda bene: era l’inizio degli Anni Duemila, c’erano Marazzina e Corradi in attacco, mister Del Neri in panchina, una banda di semi sconosciuti partita dalla terza categoria per conquistare l’Europa. Un piccolo miracolo calcistico. Quasi due decenni dopo, è tutto finito. E non tanto per la retrocessione in Serie B, in fondo era già successo nel 2007. Stavolta è diverso. Quella squadra che aveva fatto innamorare l’Italia del pallone non esiste più. Questo che oggi retrocede è un altro Chievo. Il Chievo Verona scende in Serie B con 6 giornate d’anticipo, venti sconfitte e appena una vittoria, la miseria di 11 punti in classifica (che sul campo sarebbero in realtà 14, senza la penalizzazione).
Già, la penalizzazione. Il naufragio si concretizza oggi con la matematica retrocessione, ma in realtà era già cominciato la scorsa estate, con il caso delle “plusvalenze fittizie” col Cesena, l’inchiesta della Procura Figc, il doppio processo e infine una sanzione molto soft: solo tre punti, quasi un buffetto, ma è come se per il Chievo avessero pesato dieci volte tanto. Sarà per la sensazione di partire a handicap, per l’onta dello scandalo o forse soltanto per il disimpegno della società assorbita dalle vicende giudiziarie, ma quella appena conclusa è stata davvero una stagione maledetta: iniziata sotto i peggiori auspici, proseguita in farsa con l’assurda parentesi del ritorno di Giampiero Ventura, finita come tutti si aspettavano. È come se il campo sia riuscito dove la giustizia federale aveva fallito: punire il Chievo e mandarlo in Serie B. Una specie di karma pallonaro.
Qualcuno, infatti, pensa che la società del presidente Campedelli non avrebbe proprio dovuto disputarlo questo campionato. In realtà non è proprio così, visto che il tribunale federale ha ammesso che non c’era prova del fatto che le operazioni contestate fossero state decisive ai fini dell’iscrizione. Di certo, però, la “sistematica operazione volta a sopravvalutare i dati del bilancio mediante le cosiddette plusvalenze” – certificata nella sentenza – dice tutto di cos’è diventato il Chievo Verona e cancella ogni dispiacere per la sua retrocessione. Non facciamo i moralisti. Troppo facile prendersela col Chievo, che ha fatto quello che ormai fanno più o meno tutti, dalla Juventus all’Inter, per tenere in piedi i bilanci. Proprio il caso del Chievo, infatti, ha scoperchiato il vaso di Pandora, e proprio quel processo ci ha anche fatto capire che la Figc non sarà mai in grado di intervenire sulle cosiddette “plusvalenze fittizie”, dal momento che – come scrivono i giudici – “non esistono uniformi e oggettivi criteri di valutazione dell’effettivo valore del calciatore” e non sarà mai possibile dimostrare che un club ha gonfiato la quotazione di un ragazzino per aggiustare i bilanci.
È tutto rimesso al buon senso delle società (se poi i soldi veri finiscono, c’è il fallimento) e alla responsabilità dei revisori dei conti. L’unica colpa dei veronesi è stato esagerare, fare in maniera più smaccata e meno furba ciò che fanno tutti. Ma in fondo è proprio questo il punto. Della “favola Chievo” non rimaneva più nulla già da un pezzo: solo una squadra di provincia come tante, che vivacchia con i soldi dei diritti tv, sta in piedi grazie ad artifici contabili e adesso ha pure il presidente indagato. Insomma, praticamente una società modello della nostra Serie A: possiamo tranquillamente farne a meno.